la Repubblica, 7 gennaio 2018
L’uomo in maglia rosa che legge nel futuro. L’intervista a Tom Dumoulin
BERLINO Nella città del Muro e delle divisioni storiche, a poche centinaia di metri dal Checkpoint Charlie che separava la Berlino americanizzata dalla Berlino sovietica, in una tempesta di musica techno così adatta alla natura del luogo, il ragazzo più europeo e forse europeista che ci sia nel mondo del ciclismo si presenta alla testa della sua Sunweb. È il varo della stagione 2018 e Tom Dumoulin, molto divertito dall’occasione e con un sobrio bicchiere d’acqua naturale tra le mani, si offre ai cronisti. È stato premiato come il corridore più disponibile con i media nella stagione passata.
Dopo la tappa di Piancavallo, la terz’ultima del Giro, quando perse la maglia rosa per una leggera crisi sulla salita finale, anziché rintanarsi sul pullman uscì e raccontò quel che era accaduto. Di questo premio ne va fiero: il suo atteggiamento rientra in una strategia del team tedesco, ma anche in una sua umana disposizione al dialogo, naturale, forse, per uno non troppo abituato al concetto di confine. È nato a Maastricht, in Olanda, di lontane origini francesi, è residente a Kanne, in Belgio, e la sua casa si affaccia sul canale Alberto, che unisce la Mosa e la Schelda, le Fiandre e la Vallonia, il Limburgo e la Germania.
Campione uscente del Giro, campione del mondo della cronometro, il mancato medico, figlio di un professore universitario, fidanzato da sette anni con una psicologa, la bionda Thanee, ha scoperto di sé una cosa che non aveva mai immaginato di avere: la capacità di prevedere il futuro. È successo alla vigilia della crono mondiale di Bergen, chiusa a 41 di media nonostante la durissima salita finale verso la cima del monte Floyen.
«Il giorno prima ho avuto una premonizione, mi sono visto dentro la maglia iridata. Mi sono detto “ehi Tom, quei colori ti donano”. Ho vinto ripetendomi questa frase lungo tutto il percorso».
Al Mondiale di Innsbruck potrebbe raddoppiare: iride nella crono, iride nella prova in linea. Così la maglia può non toglierla mai, per un anno intero. Ci pensa?
«Certo, mi piacerebbe, è un sogno grandissimo. Ma una stagione intera deve passare e mille cose possono succedere, buone e meno buone. Tutti ripartono da zero, ogni 1° gennaio».
L’hanno paragonata a Miguel Indurain: è un confronto che le piace?
«Miguel è Miguel, è un dio della bicicletta, e io sono Tom, un ragazzo di 27 anni che sta imparando a sbagliare sempre di meno in corsa, che sta crescendo ogni anno. Non sono nato campione, ma ogni anno ho aggiunto un mattoncino. Non ho avuto sbalzi clamorosi e ho perso male alcune corse, a inizio carriera».
La Vuelta 2015, da Aru, per esempio: quanto l’ha aiutata quella sconfitta?
«Ricordo un caldo feroce, quel giorno sulla Morcuera. Io ho sempre amato il caldo, ma quel giorno si andò oltre, e poi ero senza squadra e non avevo esperienza di alta classifica nelle grandi corse a tappe».
Il caldo: una volta Echavarri disse “Indurain va a energia solare”. E lei a cosa “va”?
«Non saprei. Date le mie origini e il mio cognome (Del Mulino, in italiano) potrei dire “a vento”. Ce n’era moltissimo a Monza, alla partenza dell’ultima crono del Giro».
Lì perse anni di vita, ad aspettare l’arrivo di Quintana.«Una tensione...».
Al prossimo Giro il suo avversario potrebbe essere Froome. Che idea s’è fatto della sua storia di presunto doping?
«Non conosco di dettagli, ma non capisco come mai Sky non l’abbia sospeso. La mia squadra l’avrebbe fatto».
La Sunweb ha lanciato anche un programma interno di controlli a sorpresa per i suoi corridori.
«Vogliamo essere trasparenti, ce lo chiede la gente, si deve poter pensare che sia tutto vero quel che si vede sulle strade».
Ma è possibile vincere Giro e Tour nello stesso anno?
«Già vincere uno solo dei due è difficilissimo. Potrei provarci in futuro. Quest’anno non so ancora se farò il Tour, e se lo farò non punterò probabilmente a vincerlo. Ma mi “ispira” quel che è accaduto nel 2017 a Landa: era partito senza ambizioni ed è arrivato quarto».
Che rapporto ha con la tecnologia? Usa i misuratori di potenza?
«Solo nelle cronometro. Ma chi pensa che conoscere i watt possa modificare le prestazioni e l’andamento delle corse, anche dal punto di vista della gestione, sbaglia. Servono in allenamento, per fotografare il proprio stato di forma e il margine di crescita che uno ha. Ma in gara no».
Un sondaggio lanciato da un sito specializzato ha eletto come il momento più emozionante dell’anno la tappa dello Stelvio, al Giro, quando lei si fermò per problemi intestinali.
«Non lo è stato per me, ovviamente. Però mi ha inorgoglito il modo che ho avuto di reagire a quella difficoltà».
Convinto ancora che fu una mancanza di fair play da parte dei suoi avversari attaccarla a fondo?
«Nessuna regola prescrive di fermare la corsa. E poi ho vinto lo stesso, quindi va bene così. Ho fatto comunque analisi specifiche per capire se ho intolleranze a certi cibi. Spero di non dare più un vantaggio del genere, diciamo così, ai miei avversari».
Dopo il suo esordio stagionale, a febbraio ad Abu Dhabi, c’è tanta Italia nel suo calendario: Strade Bianche, Tirreno, Sanremo, Giro.
«Adoro il vostro paese. Ci sono stato anche prima del Mondiale di Bergen, ad agosto, e sono anche tornato sullo Stelvio a pedalare. Mi diverte il vostro modo di sostenerci. Mi sento molto ben voluto da voi».
27 anni è un’età speciale: inizia l’éra Dumoulin o forse è già iniziata nel 2017?
«In questo ciclismo ci sono tanti bei personaggi. Sono felice di farne parte».