la Repubblica, 7 gennaio 2018
L‘amaca
Ha destato una certa impressione, e fa discutere da giorni, la notizia che alla Casa Bianca “tutti pensano che il presidente sia un idiota”, come da best-seller ispirato da uno dei numerosi trumpisti espulsi dal Palazzo. I tanti che, nel mondo, detestano Trump (appartengo alla folta schiera), hanno comunque ben poco da rallegrarsi. Del tutto indipendentemente dalle credenze politiche, l’idea che un idiota sia tra i padroni del mondo è perfino più allarmante dell’idea – già sperimentata – che il mondo possa essere governato da un malvagio. Alla malvagità del potere (si pensi alle guerre) abbiamo fatto il callo, è come una malattia che siamo attrezzati a patire. È un vizio al quale si può sperare di opporre altrettanta virtù: in politica esiste una dialettica molto controversa, ma antica e collaudata, tra giusto e ingiusto, onesto e disonesto, buono e cattivo.
Il pensiero di un capo idiota, per giunta selezionato dal voto di milioni di esseri umani, è invece agghiacciante perché immette la democrazia in una specie di corridoio terminale: la selezione dell’idiota tramite suffragio universale significherebbe, semplicemente, che l’intera baracca chiamata “democrazia” è alla fine del suo percorso. Per questo è necessario augurarsi che sia l’astio dei cortigiani respinti ad agitare contro Trump questa accusa irrimediabile non solamente per lui, del quale francamente ci importa così così, ma anche per “la più grande democrazia del mondo”, così come ci eravamo abituati, forse troppo amichevolmente, a pensare l’America.