la Repubblica, 7 gennaio 2018
Il filo rosso fra rame e bitcoin
Il 2018 sarà l’anno del Bitcoin.
Nel bene e nel male. Così come il 2017 lo è stato, tra altri protagonisti, del rame. Gli antipodi nei mercati finanziari: da un lato l’eldorado delle criptovalute, quanto di più distante possa esistere dalla vita reale; all’opposto, le quotazioni di una materia prima che sprofonda le radici nelle miniere di Re Salomone e che ha attraversato millenni di storia dell’umanità passando (e approdando) alla miniera di Chuquicamata, nel deserto di Atacama in Cile, oggi il giacimento a cielo aperto più grande del pianeta. Gironi infernali profondi oltre mille metri, dove nei primi decenni del Novecento si è consumato il sacrificio di migliaia di minatori (molti di loro bambini) e dove Ernesto Guevara, in una tappa del mitico viaggio in motocicletta, iniziò a trasformarsi nel Che.
Il 2017, dunque, sarà ricordato anche per le quotazioni del rame che hanno raggiunto i massimi dal 2014 e, soprattutto, per il record di sedute consecutive in rialzo: 10 sul London Metal Exchange (Lme), e non accadeva dall’89; 15 al Comex di New York, e lì non succedeva addirittura dall’84. A fine anno il prezzo ha sfondato quota 7.300 dollari a tonnellata, per poi ripiegare nei giorni successivi: l’impressione è di un rally in frenata, ma non è detto.
Dipenderà dalle variabili driver delle quotazioni, fattori che più concreti e reali non si può. E non potrebbe essere diversamente per una materia prima nel cuore di settori come edilizia, elettrotecnica, elettronica, trasporti, architettura, artigianato. E che ha una vita produttiva anche in forma di rottame, perché la fusione recupera fino al 100% del metallo. Così sull’andamento dell’ “oro rosso”, e degli strumenti finanziari collegati, incide la domanda di materie prime del “gigante” Cina; i piani sulle infrastrutture degli Usa; le prospettive dell’auto elettrica che contiene 90 kg di rame contro i 20 dei modelli a benzina; le vicissitudini dell’offerta, come accaduto nel 2017 con i 43 giorni di sciopero nell’altra miniera cilena di Escondida, o con le strette anti-inquinamento nella raffinazione. Non manca la speculazione che negli anni Ottanta ha visto il trader giapponese Yasuo Hamanaka manipolare illecitamente il mercato del rame per 3 miliardi di dollari. Speculazione comunque in carne ed ossa, come un altro fenomeno che si muove nei bassifondi della filiera: i furti di rame lungo le linee ferroviarie e nei cantieri: «Consideriamo i ladri come sentinelle del mercato – ha raccontato l’imprenditore elettronico Guidalberto Guidi se cominciano a salire i furti, siamo sicuri che poco tempo dopo salirà il prezzo».