la Repubblica, 6 gennaio 2018
Quelli che scelgono i parlamentari da Ghedini a Lotti, i signori delle liste
ROMA Ci sono otto uomini – e solo uomini – che hanno in mano il destino di altri mille per i prossimi cinque anni. Kingmaker che stanno decidendo del Cud da 100 mila euro l’anno (almeno) dei futuri 630 deputati e 315 senatori.
Qui non si parla di leader e segretari di partito, loro metteranno solo il bollino finale.
Ma di sherpa, di chi in questi giorni sta già compilando le liste, di chi ha avuto l’incarico di fare il “lavoro sporco”: nella realtà, i veri plenipotenziari dei sette partiti che conteranno nella diciottesima legislatura.
Nell’Italia in cui milioni danno addosso alla politica ma altrettanti farebbero carte false per entrare a Palazzo, quei dieci si ritroveranno fino alla dead line del 29 gennaio sotto accerchiamento, solo apparentemente amichevole.
Regola numero uno: «Non rispondere alle telefonate, ai numeri conosciuti dei colleghi parlamentari uscenti o degli aspiranti, né tanto meno ai numeri sconosciuti o alle chiamate “anonime”, dietro le quali si nascondono ormai sia i primi che i secondi», racconta un vicesegretario di partito ormai nel bunker. Regola numero due: «Declinare qualsiasi invito non a pranzo o cena, figurarsi, ma perfino al caffé con i tipi di cui sopra». Inviti dietro i quali si cela sempre un sottinteso pressing, un “non detto” che genera imbarazzo, quando non la richiesta sfacciata.
Pro forma, i venti coordinatori regionali di Forza Italia hanno pure recapitato al loro referente Sestino Giacomoni in queste ore le bozze degli elenchi dei potenziali candidati nei rispettivi territori.
Ma quando due giorni fa nello studio di Arcore Niccolò Ghedini e Silvio Berlusconi ci hanno messo la testa per la prima volta, si sono accorti che tra il centinaio di uscenti da riconfermare e quell’altro centinaio di donne e uomini nuovi che il Cavaliere vorrebbe inserire «a tutti i costi», ecco, i conti sono subito saltati.
L’Avvocato ormai funge da coordinatore e cesellatore delle liste, quel che fino al 2013 è stato Denis Verdini. Una voce (più flebile) sarà quella di Gianni Letta.
«Ma il vero problema è che tra i due capigruppo Brunetta e Romani ci è venuto a mancare in questi giorni quel perfetto cuscinetto che era Altero Matteoli», racconta un forzista della stanza dei bottoni.
Non che altrove la tensione non si tagli a fette, di questi tempi. Da inizio anno non passa giorno senza che Luca Lotti e Lorenzo Guerini stiano ore insieme a scorrere elenchi, chiamare federazioni locali, guardarsi negli occhi e “questo sì”, “questo anche no”.
Occhi che saranno di riguardo, neanche a dirlo, per i renziani: per loro i posti migliori sono garantiti.
Al leader dovranno presentare il lavoro quasi ultimato. Quello da tagliatori di teste spetta a loro. Il limite dei 15 anni di legislatura come bussola e una manciata di deroghe da concedere alla minoranza interna, giusto ministri e poco altro. Il resto trema.
Piattaforma Rousseau, parlamentarie on line, certo, ma è al civico 6 di via Morone a Milano, sede della Casaleggio Associati srl, che guardano le migliaia di aspiranti che si sono iscritti alla competizione del M5S. Luigi Di Maio e Beppe Grillo voleranno alto, ma è lo staff che fa capo a Davide Casaleggio – come tutti dicono e sanno nel Movimento – ad avere potere di vita o di morte sui nomi. Come sempre.
Di sé dice sempre: «Cerco di essere utile ma non spingo per apparire, ho sempre pensato che altri meglio di me possano rappresentare la Lega in tv o sui giornali». Più che defilato, inabissato, ma a Giancarlo Giorgetti Matteo Salvini affida da anni tutte le partite più delicate, dalle trattative sulla legge elettorale al dialogo con Forza Italia. Classe ‘66, leghista post bossiano della prima ora, è forse l’unico uomo di partito che il leader ascolta. Anche lì, i segretari nazionali (cioè regionali) del Carroccio hanno inviato le proposte.
Loro due, Matteo e Giancarlo, alla fine decideranno. Col destino dei pur pochi uscenti ancora da decidere, quest’anno la novità sarà la candidatura di esterni senza tessera e la grossa infornata di amministratori locali già annunciata da Salvini.
Al quartier generale di Fratelli d’Italia siede l’unica donna di questo sceltissimo team di selezionatori, peccato che non faccia testo, perché Giorgia Meloni è anche il leader. Allora sono i suoi bracci “destro e destro”, Fabio Rampelli e Ignazio La Russa, gli ufficiali incaricati di sfoltire gli elenchi che i locali hanno inviato entro il 31 dicembre. Ancora tutto decidere – se ne parlerà prossima settimana al tavolo a tre Berlusconi, Salvini, Meloni – il numero dei collegi uninominali che spetteranno a Fi, Lega e Fdi (e dove). Della coalizione fa parte anche la cosiddetta “quarta gamba”, Noi con l’Italia. Il potere di firma sulle loro liste è stato delegato a Raffaele Fitto e Lorenzo Cesa (che ha portato in dote lo Scudocrociato). Dopo aver rotto con Vittorio Sgarbi, i due ieri hanno invece chiuso l’accordo con Gaetano Quagliariello.
Completando un maxipuzzle di ras di consensi in tutte le regioni che porta ora i due a sorridere di chi pronostica infausti destini: «Altro che tre, difficile che si vada sotto il cinque per cento».
Sarà anche per la tradizione vecchio stampo e la passione per i politburo. Sta di fatto che Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema hanno deciso che l’assemblea di Liberi e uguali di domenica nominerà una sorta di direzione di 7-8 componenti che avrà l’incarico di sfoltire le “rose” nel frattempo inviate dalle assemblee regionali.
Nico Stumpo, ex uomo organizzazione del Pd, viene additato come uno dei “selezionatori” più alti in grado con Roberto Speranza. D’Alema e Bersani, assicurano, non faranno parte dell’organismo. In pochi sono pronti a scommettere però che i due non metteranno il sigillo sulle scelte finali.