Corriere della Sera, 6 gennaio 2018
Se Donald Trump regala il Pakistan alla Cina di Xi Jinping
Questa volta Donald Trump ha qualche ragione: i Talebani che combattono in Afghanistan contro i soldati Usa sono figli e nipoti dei servizi militari pakistani, ed è vero che le autorità di Islamabad potrebbero fare di più contro i terroristi che ancora oggi si nascondono nella massa dei rifugiati afghani o nelle roccaforti montagnose del Baluchistan. Non deve dunque stupire – questa è la logica di Washington – che la Casa Bianca decida di sospendere gli aiuti finanziari al Pakistan nel settore della sicurezza, minacciando implicitamente il taglio di tutta la cospicua assistenza militare. Dal 2002 l’America ha dato trentatré miliardi di dollari di aiuti al Pakistan, ha spiegato Trump, e non ha ricevuto in cambio una collaborazione adeguata nella lotta al terrorismo.
Sembra tutto chiaro, ma non lo è. Perché dal punto di vista militare il Pakistan rimane per gli Usa una indispensabile via di transito verso l’Afghanistan, dove proprio Donald Trump ha deciso di rilanciare la guerra contro i Talebani e ora anche contro l’Isis. E soprattutto perché, dal punto di vista geopolitico, la linea dura scelta dalla Casa Bianca potrebbe spingere il Pakistan nelle braccia di Xi Jinping.
La Cina è da tempo molto vicina a Islamabad, e i pakistani la considerano un prezioso alleato che consente loro di bilanciare, su scala regionale, i rapporti preferenziali dell’India con la Russia. Sin qui l’America, che gioca su entrambi i tavoli e deve pensare all’Afghanistan, non aveva avuto difficoltà a mostrarsi generosa sia con l’India sia (di più) con il Pakistan. Ma se ora Donald Trump impugna il bastone del castigo e pretende obbedienza in cambio di dollari (lo ha già fatto senza successo all’Onu nel voto su Gerusalemme) i militari di Islamabad potrebbero essere i primi a volgersi verso Pechino dando libero sfogo al loro nazionalismo. Per Xi Jinping sarebbe un regalo sontuoso. E per Trump il peggiore dei boomerang.