Corriere della Sera, 6 gennaio 2018
E Bannon «divorzia» dalla ricca Rebekah. In fuga i finanziatori della nuova destra
L’ira di Trump, tradotta in una scomunica formale della Casa Bianca, sta avendo conseguenze pesantissime per Steve Bannon. Emarginato già ad agosto dal presidente, lo stratega della sua vittoria e ideologo della destra populista era convinto di poter avere anche dall’esterno, un ruolo politico decisivo. Ma ora, mentre infuriano le polemiche per le sue durissime accuse contro membri della famiglia del presidente (i figli Donald Jr e Ivanka e suo marito, Jared Kushner) e contro lo stesso Trump contenute in «Fire and Fury», il nuovo libro di Michael Wolff da ieri in vendita negli Usa, Bannon sta perdendo anche l’appoggio di tutti i suoi finanziatori.
Per lui è grave soprattutto la rottura con Rebekah Mercer, la figlia del finanziere miliardario Robert Mercer, che è stata al suo fianco per tutta la campagna elettorale e nei primi mesi della presidenza e che è comproprietaria anche del sito Breitbart News, il «megafono» col quale Bannon fa politica. I Mercer hanno alimentato con decine di milioni di dollari anche Cambridge Analytica, la società informatica di analisi politiche controllata da Bannon che ha avuto un ruolo decisivo nella definizione della strategia elettorale del team Trump e il Government Accountability Institute: un centro studi, in realtà una centrale di propaganda, che ha prodotto, tra l’altro, «Clinton Cash», un documentario contro Hillary sui finanziamenti raccolti all’estero dalla Fondazione Clinton. Ma in precedenza, quando i Mercer erano ancora schierati con Ted Cruz che sfidava Trump alle primarie, questo istituto ha indagato anche sui rapporti del costruttore miliardario con personaggi legati al crimine organizzato negli Stati Uniti e in Russia.
Tutto finito: con un gelido comunicato Rebekah ha reso noto che già da diversi mesi lei e la sua famiglia hanno interrotto ogni rapporto con Bannon: niente più comunicazioni con Steve né sostegni finanziari alla sua agenda politica. Che, a dire il vero, aveva subito un colpo durissimo già un mese fa quando Roy Moore, l’esponente dell’estrema destra integralista e razzista imposto nelle primarie per il seggio senatoriale in Alabama contro il candidato ufficiale del partito repubblicano, è stato battuto da una debole figura del partito democratico.
Anche chi era affascinato dal progetto politico populista e dalle visioni dell’ideologo, aveva cominciato a prendere le distanze da Bannon per le sue scommesse perdenti e per il suo stile fatto di improvvisazione e spregiudicatezza nella comunicazione. Dopo un incontro riservato con Sheldon Adelson, ad esempio, Bannon aveva fatto trapelare sulla stampa la notizia di un sostegno del miliardario dei casinò di Las Vegas al suo progetto. Immediata la smentita di Adelson che ha ribadito la sua fedeltà al partito.
Isolato dai repubblicani che contano, abbandonato dai finanziatori, scomunicato da Trump che ormai vede in lui un avversario con un ego addirittura più grosso del suo pronto a correre per la Casa Bianca e orientato a soffiare sul fuoco di un possibile impeachment, Bannon sembra con le spalle al muro. Ma chi lo conosce bene come il suo biografo Keith Koffler, invita a non sottovalutarlo: «Trump è il re dell’elettorato populista che ha cambiato i destini dell’America, ma Bannon è la sua rockstar. Peserà ancora molto».
Ma qui torna il fattore Mercer: Rebekah avverte che intende continuare a svolgere il ruolo di azionista di Breitbart. Per molti è il preannuncio di un licenziamento di Bannon, tornato a fare il presidente della sua centrale d’informazione e propaganda politica, dopo aver lasciato la Casa Bianca. Rebekah ora lo lascerà anche senza megafono?