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 2018  gennaio 05 Venerdì calendario

C’è una giustizia che funziona. È quella delle carceri minorili

Tassi di recidiva più bassi in Europa, zero casi di suicidio negli ultimi 7 anni e tentativi di togliersi la vita sempre più ridotti: 45 nel 2016, 19 nel 2017. In continua diminuzione anche le aggressioni e le infrazioni disciplinari. In Italia, se c’è qualcosa che sta funzionando, è la giustizia minorile, che ha reso residuale il carcere grazie all’istituto, sempre più applicato, della messa alla prova, che costituisce una misura alternativa alla detenzione e comporta la sospensione del processo per un periodo determinato al fine di consentire al giudice di valutare la personalità ed il comportamento del reo minorenne. 
Dal 1992 al 2016 tale istituto è passato da 778 provvedimenti a 3.757. Ad oggi, nei nostri diciassette Istituti Penali per Minorenni sono presenti solo 452 detenuti, i minorenni sono il 42%, i maggiorenni il 58%, le ragazze 34 (8%), gli stranieri 200 (44%). Sono questi i dati incoraggianti contenuti nel 4 ̊ Rapporto dell’associazione Antigone sulle carceri per minori. «La situazione è stabile da molto tempo, ma possiamo e dobbiamo fare di più», dichiara Susanna Marietti, responsabile dell’Osservatorio Minori di Antigone, la quale sottolinea che in carcere sostano ancora tanti giovani «non per la gravità o il tipo di reato che hanno compiuto, ma perché non si è riusciti a trovare per loro una soluzione differente, in quanto sono soli, senza un domicilio stabile e senza famiglia, o stranieri». Tuttavia negli IPM non esiste il problema del sovraffollamento e l’attenzione e la dedizione al singolo consentono, anche grazie alla presenza di un educatore ogni 7 ragazzi, la realizzazione di un trattamento individualizzato di rieducazione e di recupero, che negli istituti di pena per adulti difficilmente può essere attuato. 
Purtroppo, il 48% di chi è attualmente detenuto in un IPM è in custodia cautelare e si tratta soprattutto di minorenni, l’81,6% dei quali non ha ancora una condanna definitiva. Inoltre, gli stranieri in custodia cautelare rappresentano il 53,5% del totale. 
«Se ci investiamo tanti soldi, la situazione può migliorare. Sono necessari più esperti, più personale, più risorse. Le leggi ci sono e sono buone», osserva Marietti, che ritiene che il carcere, in generale, non possa rinchiudere e poi scaraventare per strada coloro che sono rimasti fuori dal mondo per 5 o 10 anni. Uscendo dall’istituto di pena il detenuto necessita di un sostegno ancora maggiore, affinché il passaggio dalla detenzione al reinserimento post-penitenziario, soprattutto di coloro che appartengono alle fasce più deboli, possa avvenire senza traumi. 
Occorre un avvicinamento graduale, ossia un reinserimento sociale e lavorativo, in mancanza del quale è facile che l’ex detenuto, non trovando alternative, consolidi la sua scelta criminale come unica possibilità di riscatto una volta lasciato il carcere. 
Ecco perché l’istituto della messa alla prova ha abbassato i tassi di recidiva, diminuendo anche il numero dei minori detenuti. Dobbiamo costruire una sorta di ponte tra le istituzioni totalizzanti penitenziarie e la società civile, vincendo il pregiudizio nei confronti di chi ha sbagliato e dando ai carcerati la speranza. 
In particolare i ragazzi «hanno bisogno di una grande presa in carico da parte della società. Essi sono soggetti in evoluzione e costituiscono delle risorse che non ci possiamo permettere di perdere», afferma la responsabile di Antigone. 
Ecco che diventa importante aiutare il minore a percepirsi non come una persona inadeguata, o peso, ma come cittadino, affinché sappia che, scontato il suo debito, verrà riaccolto all’esterno. Coloro che si sentono valorizzati nella messa alla prova non tornano a delinquere, quindi dare fiducia è un modo di responsabilizzare il reo, favorendone il recupero. Quando ciò avviene, il carcere restituisce al mondo che sta al di là delle sbarre uomini e donne migliori. 
Gli istituiti penitenziari minorili costituiscono un modello virtuoso, ma quasi impossibile da ricalcare quando ci spostiamo sul fronte delle carceri per adulti a causa delle problematiche che queste ultime presentano, in primis il sovraffollamento. Una maggiore applicazione delle misure alternative alla detenzione potrebbe segnare un netto miglioramento della situazione, trasformando le carceri da discariche e contenitori di esseri umani in strutture in cui il singolo cessa di essere numero e diventa persona.