Il Sole 24 Ore, 8 gennaio 2018
Dieci anni di sentenze: sul ring della Corte Ue l’Italia perde 85 a 9
È una delle questioni più spinose nel negoziato sulla Brexit. I britannici non vedono l’ora di smarcarsi dal suo controllo, ma secondo i termini dell’accordo raggiunto lo scorso 8 dicembre dovranno aspettare ancora un po’. A fare così paura a Londra è la Corte di Giustizia Ue, arbitro supremo nell’interpretazione della legislazione europea nei 28 Paesi dell’Unione e giudice ultimo nelle procedure di infrazione intentate dalla Commissione Ue contro le capitali finite nel mirino perché non rispettano le regole europee.
Un potere ad ampio raggio, dunque, con decisioni che incidono sulla vita quotidiana dei cittadini e in modo indiretto anche sulle scelte nazionali. Con piccoli e grandi tasselli aggiunti nel puzzle della costruzione europea nel corso di 66 anni di storia – la fondazione della Corte risale al 1952 – che l’hanno trasformata nel simbolo dell’unità europea per i suoi sostenitori o in quello dello strapotere dei burocrati per i suoi detrattori, con Londra in prima linea. Basti pensare alle sentenze storiche, come la Bosman del 1995, che ha sancito il principio della libera circolazione dei calciatori nel mercato unico o a quella del mese scorso che ha definito Uber un mezzo di trasporto e dunque soggetto a regolamentazione. Ma anche ai verdetti che hanno messo fine alle procedure di infrazione per rendere più omogenea la legislazione dei vari Paesi.
Nel palazzo in Boulevard Konrad Adenauer in Lussemburgo l’Italia è (spesso suo malgrado) di casa. Negli ultimi dieci anni la Corte ha emesso 94 sentenze, pari al 12% del totale a carico dei 28, che hanno visto il nostro Paese sul banco degli imputati con l’accusa di non aver rispettato la normativa europea. Per 85 volte gli eurogiudici hanno dato ragione alla Commissione Ue, mentre solo in 9 casi Roma ha avuto la meglio. È successo ad esempio nel marzo 2011, quando la Corte del Lussemburgo ha respinto il ricorso della Commissione europea sulle tariffe massime negli onorari degli avvocati introdotte dal decreto Bersani. Per la Corte Ue queste tariffe non violavano la legge europea, perché non impedivano l’accesso al mercato italiano dei servizi legali agli avvocati di altri Stati membri della Ue. Roma ha segnato un altro punto a suo favore nel 2013, quando è stato riconosciuto il regime di Iva agevolata per le agenzie di viaggio. Ben 74 di queste sentenze sono state emesse tra il 2007 e il 2011. A partire dal 2012 il numero si è ridotto in modo significativo, di pari passo con la diminuzione dei deferimenti alla Corte Ue grazie anche al maggiore utilizzo della piattaforma Eu Pilot, che favorisce il dialogo tra Bruxelles e le capitali per arrivare a una soluzione “amichevole” e prevenire una procedura di infrazione.
Oggi, secondo la fotografia scattata dal Dipartimento per le politiche europee, sul tavolo della Corte figurano sette cause e sei sentenze “attive”, di cui quattro con sanzioni pecuniarie. L’ultima causa approdata in Lussemburgo è quella sui ritardi di pagamento. A tre anni dall’apertura della procedura di infrazione, lo scorso 7 dicembre la Commissione Ue ha deferito l’Italia alla Corte per i tempi lunghi di pagamento della Pubblica amministrazione alle imprese, ben oltre quelli previsti dalla direttiva europea del 2011. Le altre cause riguardano gli appalti per la costruzione dell’autostrada Civitavecchia-Livorno o il mancato recupero degli aiuti di Stato concessi agli alberghi della Sardegna. L’Italia è nel mirino anche per 44 discariche dei rifiuti fuori legge, il recupero dei prelievi arretrati sulle quote latte e per due questioni legate alla fiscalità e alle dogane. Il nostro Paese è poi finito per la seconda volta alla sbarra in Lussemburgo per la gestione delle acque reflue e rischia una sanzione pecuniaria (si veda l’analisi di fianco). Quattro multe salate le ha già invece ricevute negli anni scorsi perché si è dimostrata recidiva e non si è adeguata a una sentenza. È stata così condannata a pagare una somma forfetaria di 30 milioni per il mancato recupero di aiuti all’occupazione giudicati illegittimi e per gli sgravi concessi alle imprese di Venezia e Chioggia tra il 1995 e il 1997. Per la gestione dei rifiuti pericolosi la multa è stata di 40 milioni, per l’emergenza rifiuti in Campania di 20 milioni.
Non solo. Dal 2007 al 2016 i giudici italiani (di ogni grado, fino alla Consulta) hanno bussato alla porta della Corte per ben 492 volte per avere il cosiddetto “parere pregiudiziale” (vincolante) sull’interpretazione della normativa europea, pari al 12% delle richieste totali presentate dai Paesi europei. Alcune sue sentenze hanno avuto una portata dirompente, costringendo a modifiche del sistema italiano. Come quella del 2014 che ha bollato come contrario alla normativa europea il fenomeno dei precari a vita nella scuola. Per correre ai ripari l’allora governo Renzi ha inserito nella riforma della “Buona Scuola” il limite temporale di 36 mesi per i contratti di lavoro a tempo determinato e la costituzione di un fondo ad hoc per pagare gli indennizzi legati alla sentenza Ue.
E i tempi per il verdetto? Molto più rapidi di quelli nazionali, almeno per quanto riguarda l’Italia. Basti pensare che per le domande pregiudiziali l’interpretazione della Corte arriva in media dopo 15 mesi, per i casi di infrazione dopo circa 19 mesi.