La Stampa, 8 gennaio 2018
Le finanziarie fantasma degli ayatollah mandano in rovina le classi più povere
Ci sono immagini che fanno assomigliare la rivolta iraniana più a Occupy Wall Street o alle proteste in Grecia. Banche prese d’assalto, sportelli sfondati, e filiali date alle fiamme. È la rabbia della gente comune, delle famiglie modeste che vivono in provincia e che hanno investito in istituti finanziari informali, con la promessa di alti rendimenti, un modo per risollevare i redditi stagnanti, e si sono ritrovate in rovina. I fallimenti a catena di queste banche, spesso emanazioni delle potenti fondazioni religiose degli ayatollah, sono state la scintilla che ha innescato le manifestazioni ma dicono anche molto della realtà economica dell’Iran, soprattutto lontano da Teheran.
In uno dei video si vede una donna anziana, in un letto di ospedale nella città di Mashhad, dove è cominciato tutto. Dice che tre anni fa ha perso tutti i suoi risparmi in un istituto chiamato Padideh Shandiz, collassato all’improvviso fra accuse di appropriazione indebita. «Perché non mi hanno dato indietro i miei soldi» dice la donna fra le lacrime: «Non posso muovermi. Ho molte spese. Devo pagarmi le cure. Perché qualcuno della Padideh non mi dà indietro i miei soldi?». Le stesse domande se le pongono, in altri video, donne con i tradizionali hijab, con figli e mariti al fianco, tutti rovinati dalle speculazioni delle finanziarie di provincia.
L’economia iraniana, come mostra una studio pubblicato dal portale Al-Monitor, è ancora in gran parte basata su soldi liquidi, e le famiglie meno istruite si sono affidate ai piccoli istituti. Il caso della Padideh Shandiz è esemplare. La finanziaria è nata da una costola della Mizan Credit, all’inizio una banca cooperativa di lavoratori e pensionati del settore giudiziario nella provincia del Khorasan. La Miza Credit, sotto la spinta degli influenti religiosi di Mashhad, ha ottenuto nel 2010 la licenza per operare come una vera banca ma è stata travolta da speculazioni e prestiti imprudenti, ha passato parte delle attività alla Padideh, che si è retta con la raccolta dei risparmi delle famiglie senza accesso al sistema bancario di serie A, per poi fallire a sua volta.
Accanto alle famiglie ridotte in miseria ci sono però gli arricchiti. Gente con agganci fra gli esponenti del potere, che si facevano prestare milioni a fronte di garanzie insufficienti, per esempio un’abitazione che valeva dieci volte meno. L’economia iraniana, insiste un’inchiesta della Bbc in persiano, si è polarizzata durante le sanzioni e le presidenze di Mahmoud Ahmadinejad, eletto per la prima volta nel 2005, ma ha continuato a farlo anche sotto il moderato Hassan Rohani: il reddito medio a disposizione delle famiglie è calato del 15 per cento a partire dal 2007, anno dell’adozione delle sanzioni da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Tredici anni fa, in termini nominali, il Pil dell’Iran era superiore a quello della Turchia, una Paese confinante che ha più o meno la sua stessa popolazione, 80 milioni di abitanti: l’economia iraniana è ora la metà di quella turca, 400 miliardi di dollari contro 800. Di fronte a questo declino, e con i benefici dell’accordo sul nucleare che tardano ad arrivare, Rohani ha deciso una cura choc, di austerity finanziaria, per riportare sotto controllo conti pubblici e inflazione. Una politica «regressiva», però, secondo l’economista Djavad Salehi Isfahani: tagli ai sussidi per beni alimentari e benzina, stretta sull’uso del contante, indispensabile proprio alle famiglie modeste, le stesse che si affidano al sistema bancario informale, di serie B.
La manovra prevista per l’anno fiscale che comincia il 21 marzo prossimo è ancora più dura: tagli alle allocazioni in denaro liquido ai poveri, aumento delle tasse automobilistiche e per i viaggi all’estero. L’idea è di rafforzare il settore privato, troppo debole però di fronte a un’economia statalizzata per 40 anni, e pure prima dallo scià, e lo strapotere delle Fondazioni religiose, che controllano il 30 per cento del Pil. Le stesse fondazioni che nella manovra hanno ricevuto nuovi regali, denunciati dagli studenti dell’Università dei Teheran, come un aumento del 20 per cento dei benefici per gli alti funzionari. Le Fondazioni controllano molte delle piccole banche fallite e a far infuriare ancora di più le piazze è arrivata anche la pubblicazione del budget destinato ai Pasdaran: pari a otto miliardi di dollari, in gran parte utilizzati per le guerre in Iraq e Siria.