il Fatto Quotidiano, 6 gennaio 2018
Piano impossibile: senza l’imposta l’azienda non regge
Il piano di Matteo Renzi per abolire “l’odiata tassa” segue due direzioni, gentilmente recapitate a Repubblica: “‘Lo Stato supplirà al canone trasferendo tra un miliardo e mezzo e due miliardi all’azienda. È la stessa cifra che chiedevamo ai cittadini’ (…) Cifra che dovrà ridursi fino a scomparire, appena la Rai si sarà consolidata nel nuovo mercato pubblicitario, libero dai tetti del passato”. I tetti sarebbero quelli pubblicitari imposti alla Rai dalla legge. Problema: senza il canone la Rai non reggerebbe, e già così non se la passa bene.
I conti. Nel 2016 il governo Renzi ha inserito il canone nella bolletta elettrica prevedendo di destinare l’extragettito per il 67% alla Rai (dal 2017 è sceso al 50%) e trattenendo il resto. Sono stati incassati due miliardi (+16% sul 2015), con l’evasione passata dal 30 al 6%. Alla Rai sono arrivati 1,88 miliardi, 272 milioni in più rispetto alla media storica, di poco inferiore agli 1,7 miliardi. Nel 2017 la quota di extra-gettito si è ridotta e il canone è sceso da 100 a 90 euro (nel 2015 era di 113). A conti fatti, il governo ha fatto cassa e alla Rai rimarranno 1,6 miliardi e dispari, più o meno come prima della riforma. L’incasso totale del canone dovrebbe essere di 1,8 miliardi, per il 2018-2019 le previsioni sono al ribasso.
Il tetto. Per farla vivere di sola pubblicità, Renzi vuole far saltare il tetto oggi imposto alla Rai, mandando così un messaggio bellicoso a Mediaset e a Silvio Berlusconi. Le cose sono più complesse. Oggi Viale Mazzini ha un doppio limite agli spot fissato dalla legge Gasparri (governo Berlusconi II): uno orario (il 12%) e uno settimanale (il 4%) per il quale però si considerano Rai1, Rai2 e Rai3 nel loro insieme. Mediaset vuole invece che il tetto settimanale sia rispettato da ogni canale, con l’obiettivo di drenare pubblicità a Rai 1 (vale circa 100 milioni di euro di spot). Prima di Natale l’Agcom, l’authority per le comunicazioni, ha discusso un ordine del giorno del consigliere forzista Antonio Martusciello che va in questa direzione. La decisione finale non è ancora arrivata. Il Biscione lamenta che il tetto al 4% è troppo alto, ma non è vero: era stato giustificato con la rivoluzione digitale che avrebbe moltiplicato i canali riducendo la ristrettezza di frequenze dell’analogico, ma non ha prodotto soggetti forti oltre Rai e Mediaset (La7 è imparagonabile e non se la passa bene).
Gli spot. Non sembra che la Rai possa stare sul mercato e “fare piena concorrenza ai colossi privati come Mediaset” (Repubblica dixit). La raccolta Rai langue. La Sipra – così si chiamava Rai Pubblicità – dieci anni fa incassava oltre un miliardo di euro, nel 2017 punta a fermarsi a 680 milioni, ma nel primo semestre aveva già perso l’8%. La discesa sembra inesorabile per l’invecchiamento del pubblico e l’offerta televisiva poco appetibile. In generale, il mercato pubblicitario non è in via d’espansione e tende a contrarsi, il futuro è nella distribuzione mirata, la pubblicità sulla tv generalista è declinante (anche per Mediaset). Con un dettaglio: oggi Cologno Monzese ha il 65% del mercato (e la quota è in crescita), la Rai solo il 30%. Far saltare il tetto non porterà a un boom di raccolta per un’azienda priva di pay tv e che non è abituata a competere con un colosso che domina il mercato da anni, senza contare che molti utenti, liberati del canone, potrebbero usare i risparmi per sottoscrivere abbonamenti alle tv a pagamento (Mediaset Premium o Sky). In realtà il danno peggiore lo subirebbe l’editoria, la cui raccolta è scesa del 10% e un ampliamento di quella Rai andrebbe ulteriormente a suo danno.
Il risultato. Renzi potrà rivendersi alle urne l’eliminazione della tassa, sostituendola con un trasferimento statale (finanziato da tagli di spesa o altre tasse) ma non può andare oltre questa partita di giro se non vuole far fallire l’azienda facendo così un regalo a B.. È evidente che il messaggio è politico. Serve a far sapere a Mediaset (e al suo proprietario) – che spera in un Gentiloni bis, con cui ha ottimi rapporti – che sulla tv decide lui. Per questo non ha avvisato della sparata il ministro competente, Carlo Calenda (Sviluppo) con cui c’era stato un riavvicinamento. Da tecnico d’esperienza Calenda sa bene che il piano di Renzi non sta in piedi. E ieri, irritato, lo ha fatto sapere.