La Stampa, 6 gennaio 2018
Intervista a Sonia Bergamasco: «Io angelica? Ho una vena pazza con le risate faccio tremare i muri»
A un certo punto della sua carriera Sonia Bergamasco ha ingaggiato una lotta senza quartiere contro una parte di se stessa. Quella che la bellezza eterea, il corpo esile, la nuvola di capelli dorati e gli immensi occhi color cielo le avevano imposto di rappresentare. Come Jessica Rabbit l’avevano disegnata così, ma non era colpa sua. Quel primo piano angelico e quella silhouette naturalmente elegante l’avevano condannata all’impegno, alla serietà, al teatro alto, al racconto drammatico. Poi è successo qualcosa, uno scoppio interiore, e, bum, da Tutti pazzi per amore a Quo vado?, da Riccardo va all’inferno a Come un gatto in tangenziale, Bergamasco ha messo a nudo la «corda comica», soffocata per anni, e ora felice di vibrare: «L’ironia mi appartiene, far sorridere gli altri mi fa piacere. Mi sento più vicina alla quotidianità della vita, in cui si piange molto e si ride molto».
Quando e come è scattato il clic del mutamento?
«Il primo a immaginarmi in modo diverso è stato Ivan Cotroneo, quando ha pensato a me per Tutti pazzi per amore, e poi Riccardo Milani, che ha insistito tanto per farmi interpretare quel personaggio in Come un gatto in tangenziale, che io, sulle prime, non sentivo adatto. Però le persone che mi conoscono bene sanno che quella corda pazza io l’ho sempre avuta, sono una che con le risate può far tremare i muri. La comicità ha molto a che vedere con la musicalità, che è parte importante della mia formazione d’artista. Per riuscire a far ridere bisogna stare attenti ai tempi».
Quindi adesso ha deciso di cambiare strada.
«Non voglio alzare bandiere e non ho bisogno di fare dichiarazioni da manifesto, ma è vero che forse la maturità mi permette di alleggerire i toni, di danzare in una dimensione diversa. Nessuno è immobile, e la continua possibilità di cambiare è la caratteristica fondamentale di questo strano e misterioso gioco della recitazione».
Prima, però, le era capitato di meno.
«È vero, per un certo periodo non sono stata in grado di addentrarmi nel territorio dell’ironia, poi ho capito che potevo farlo. E adesso mi piacerebbe tanto poter raccontare il femminile come faceva Monica Vitti attraverso il suo appeal straordinario, con trasformazioni complete».
InCome un gatto in tangenzialeè Luce, svagata mamma radical-chic divisa tra le piantagioni di lavanda in Provenza e le spiagge esclusive di Capalbio. Vestita di lino candido, con i sandali rasoterra, fa un po’ il verso all’altra Bergamasco, l’attrice intellettuale, dai ruoli teatrali impegnativi.
«Mi sono divertita a interpretarla, è stato un bel ritorno con Riccardo Milani, eppure in Luce non mi riconosco affatto. Il mio fisico è sempre stato questo, ma io sono nata nel quartiere QT8 di Milano, zona periferica, e a 18 anni me ne sono andata a vivere da sola. Insomma quello stile, quelle modalità di vita, non mi appartengono affatto».
Come presero in famiglia la sua scelta di diventare attrice?
«Mio padre era architetto, è morto improvvisamente a 48 anni, mia madre lavorava in un ufficio, ci siamo ritrovati, io lei e i miei fratelli, da soli e con pochi soldi. Con mia madre, che è una donna coraggiosa, sorridente, ho sempre mantenuto un bel rapporto, molto saldo. Quando ho iniziato a recitare ha aspettato, voleva capire se succedeva qualcosa. Quando ha visto i primi risultati, si è tranquillizzata e, comunque, sono sempre stata un tipo molto indipendente».
Milano e Roma sono le due città in cui ha passato la maggior parte della vita. Che cosa rappresentano per lei?
«Milano è una città di amici, quella dove ho studiato, più piccola, più godibile. A Roma vivo da 20 anni e oggi, purtroppo, la trovo faticosetta, però, anche se attraversa un momento difficile, che è il risultato di anni di cattiva amministrazione, voglio immaginare che nel futuro le accada il meglio. È un luogo abbagliante, merita molto».
Ha sposato Fabrizio Gifuni, che fa il suo stesso mestiere. Quanto è difficile condividere famiglia e lavoro?
«La vita familiare è molto complicata, non lo nascondo, ci siamo ingarbugliati da soli, ma siamo anche riusciti a fare tante cose, cose che salvaguardino il nostro equilibrio, al cento per cento. E continuiamo così, anche se, certo, è faticoso, ogni tanto penso alla pensione».
Le vostre figlie manifestano il desiderio di fare la vostra professione?
«La figlia più piccola sì, ha 12 anni e dice che vuole fare l’attrice e la cantante. Per ora studia e suona il violoncello. La più grande ha 14 anni e ha iniziato il Liceo Mamiani, quindi per adesso sgobba».
Tra i successi ottenuti con i ruoli drammatici c’èLa meglio gioventùdi Marco Tullio Giordana. Che cosa ha rappresentato per lei quell’esperienza?
«Ancora oggi, a distanza di tanti anni, la gente mi ferma per strada e mi chiede di Giulia, il mio personaggio. Era un racconto vivo, con figure che hanno cavalcato l’onda del tempo, che restano perché hanno descritto con calore qualcosa di vero. Da allora Giulia è sempre rimasta con me».
Sta per tornare in scena, il 16, al Teatro Franco Parenti conL’uomo senza seme, da lei ideato, diretto e interpretato. E poi a marzo sarà a Torino al Teatro Gobetti conIl ballotratto da un racconto di Irene Némirovsky. Ha mai pensato a cimentarsi con la regia di cinema?
«Iniziano a chiedermelo di frequente, ma per il momento aspetterei, è un lavoro che comporta tante variabili complesse. Penso spesso, invece, alla scrittura, magari una scrittura “addosso” che parta da me e da quello che voglio raccontare».
C’è qualcosa in particolare che vorrebbe portare al cinema?
«Un personaggio agrodolce, in una commedia dei giorni nostri».