Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 06 Sabato calendario

La battaglia del collezionista per vendere documenti storici

Non è finita la guerra ai collezionisti di cimeli e documenti storici, anzi. È di qualche giorno fa una decisione della procura di Pesaro che farà discutere. Accade infatti che un tal signor Giovanni Valentinotti, manager in pensione, collezionista di documenti storici e commerciante di cimeli a tempo perso, sia finito nel mirino della procura pesarese perché «colpevole» di vendere via e-bay alcune tra le sue innumerevoli carte antiche. Altre le conservava religiosamente.
In un faldone aveva quaranta documenti «emessi da varie magistrature» con date variabili tra 1804 e 1897. Uno – che doveva essere la perla della sua collezione – datato 1755. Si tratta di alcuni documenti emessi dal Prefetto Dipartimento del Reno nel 1808, dalla commissione delle Acque di Ferrara nel 1804, alcuni dei Carabinieri Pontifici di Bologna nel 1820. E sono guai. La procura infatti ritiene che, siccome sono documenti originali emessi da uffici pubblici del Regno d’Italia, sono da considerare automaticamente «beni culturali» e perciò «inalienabili e incommerciabili» a meno che il collezionista non abbia per ciascuno di essi un certificato di «avvenuto spoglio». Ma su questa valutazione ora è muro contro muro tra tribunale del Riesame e procura. Una lite in punta di diritto per decidere, una volta per tutte, che cosa sia un «bene culturale» degno di salvaguardia al punto da impiantarvi un processo penale.
L’intervento
Al signor Valentinotti, infatti, il 20 ottobre scorso, su ordine della procura i carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico hanno sequestrato l’intera collezione: ben 12mila pezzi, importanti e non, che sono stati rimessi alla valutazione della Soprintendenza archivistica di Ancona. Si badi, il signor Valentinotti non nega che molti pezzi della sua collezione provengano da un ente pubblico. Al contrario, ci tiene alla loro provenienza perchè molta parte di quelle carte provengono effettivamente dalla prefettura di Pesaro. Solo che non le ha mica rubate. Le ha comprate alla discarica di Coriano di Rimini nel 2000, pagandole circa 2 milioni di lire. Ben 98 quintali di vecchi documenti scartati dalla prefettura che lui, collezionista dall’occhio lungo, ha comprato in blocco per poi spulciarli con calma. I giudici del tribunale del Riesame gli hanno dato ragione. Non hanno proprio ravvisato nel suo operato alcuna forma di ricettazione. E ovviamente se manca il delitto, cade anche il fondamento di un sequestro. Di qui la decisione di annullare l’ordine di sequestro e di far restituire i 71 faldoni zeppi di carte antiche al Valentinotti. Ma il collezionista non ha avuto il tempo di gioire, perchè la procura di Pesaro – in evidente contrapposizione al tribunale – ha ordinato nuovamente il sequestro del materiale. Il tutto su una base diversa. Se anche fosse vero che il materiale proviene dalla discarica, «erano stati destinati alla distruzione quali scarti d’archivio e venivano reimmessi illecitamente in circolazione».
«Incauto acquisito»
Inoltre la procura segnala che il signor Valentinotti conservava in casa numerosissimi altri documenti originali. Tutti «costituiscono “beni pubblici” a mente dell’articolo 10 del decreto legislativo 42/2004 e non possono essere detenuti per la vendita». C’è un precedente importante, di marzo, a Torino: nel condannare con sentenza di primo grado un commerciante filatelico, il magistrato ha teorizzato che tutte le lettere indirizzate ad qualsiasi ente pubblico, sin dal tempo degli antichi Stati, farebbero parte del demanio dello Stato. E se anche in quel caso il materiale proveniva da una regolare vendita della Croce Rossa, cui storicamente vengono affidati gli scarti degli archivi pubblici (centinaia di milioni di documenti), lo stesso giudice ha sostenuto che tale materiale sarebbe dovuto andare al macero. Se è finito sulle bancarelle o in una collezione, si può ipotizzare quantomeno «l’incauto acquisto».
Ora però a Torino come Pesaro si attende la prossima puntata. «Quel che mi pare grottesco di questa vicenda – commenta il senatore Carlo Giovanardi, Idea, che da buon collezionista segue molto da vicino questa materia – è che il ministero dei Beni culturali aveva emesso una circolare per fare chiarezza. Si distingueva tra buste o lettere trafugate dagli archivi, con relativa denuncia di furto, da considerare materiale di illecita circolazione, e i milioni di pezzi detenuti legittimamente dai collezionisti. E invece eccoci qui con l’accanimento della procura di Pesaro».