La Stampa, 6 gennaio 2018
Auto elettriche, smartphone e batterie. E in Canada parte la corsa al cobalto
È l’elemento chimico di numero atomico 27. Il suo simbolo è «Co» e il nome sembra derivi dal greco kobalos, traducibile con folletto, «kobold» in tedesco, probabilmente dato ai minatori della Foresta Nera che incolpavano i folletti di fargli trovare un metallo inutile anziché il desiderato oro. Ed invece oggi il cobalto è protagonista di un riscatto senza precedenti che gli sta facendo scalare la tavola periodica degli elementi sino ad affacciarsi all’Olimpo dei metalli preziosi. Ed il tutto grazie alla progressiva, quanto inesorabile, diffusione delle auto elettriche, perché il cobalto è un materiale fondamentale per la realizzazione delle batterie al litio che vengono poi montate sulle cosiddette vetture «alternative» a basso impatto ambientale.
A brindare sono i minatori del Canada, un Paese ricco di giacimenti di cobalto che hanno visto aumentare come non mai la richiesta del metallo in passato disponibile in grandi quantità nelle miniere della Repubblica democratica del Congo. I conflitti che stanno però dilaniando il Paese africano, associati a una serie di problematiche relative allo sfruttamento di mano d’opera locale, rendono complicato, se non proibitivo, l’approvvigionamento da fonti congolesi, pertanto il settore dell’«automotive innovativa» si rivolgono altrove. Ma non è tutto, perché il metallo, che è un ottimo conduttore assieme a litio e nickel, è largamente utilizzato anche nella realizzazione di batteria per prodotti elettronici portatili, come smartphone e pc.
Un business globale da miliardi di dollari, un’opportunità imperdibile per il Canada terzo produttore di cobalto dopo Congo e Cina, con una quota del 6% sull’output mondiale secondo Us Geological Survey, l’ente federale americano di settore. Ecco allora che giganti nazionali come Vale, titolare di una miniera di cobalto a Sudbury, in Ontario, e Sherritt International, stanno accelerando su investimenti e produzione. Accanto a loro, però, ci sono realtà più piccole, come Royal Nickel, First Cobalt e Fortune Minerals, che stanno raccogliendo fondi di «venture Capital» per dar via a esplorazioni del sottosuolo, alla ricerca di giacimenti da sfruttare. Il balzo della domanda ha spinto il prezzo del cobalto a 75 mila dollari per «metric ton» al London Metal Exchange, ovvero oltre il doppio rispetto ai valori di inizio anno. Secondo quanto riporta il «Wall Street Journal», le attese sono per un ulteriore raddoppio dei prezzi di listino nei prossimi due anni, legati a un massiccio aumento della richiesta di batteria per auto elettriche. E soprattutto in virtù delle ristrettezze nell’offerta del metallo, visto che sino a qualche tempo fa il Congo produceva circa i due terzi del cobalto utilizzato nel mondo. Sino a quando l’opinione pubblica internazionale non ha preso coscienza delle devastanti condizioni dei lavoratori delle miniere nazionali e dello sfruttamento del lavoro minorile. Secondo un rapporto di Amnesty International pubblicato nel 2016, le compagnie congolesi impiegano anche bambini di sette anni sottoposti a turni di lavoro massacranti e sicurezza azzerata. Il «cobalto dello sfruttamento» veniva poi venduto a raffinerie cinesi e quindi destinato all’industria delle batterie. Un fenomeno che ha provocato l’indignazione collettiva e l’introduzione di certificazioni ad hoc per assicurare la provenienza del metallo e impedire che la corsa al metallo non si prestasse a nuove forme di schiavismo. Tanto che nove grandi produttori di auto come Volkswagen, Ford e Daimler hanno dato vita a un osservatorio al fine di individuare la provenienza delle materie prime utilizzate per componenti e veicoli, a partire proprio dall’oggi tanto desiderato cobalto.