Il Sole 24 Ore, 6 gennaio 2018
In Turchia boom economico inaspettato
L’economia della Turchia sta crescendo velocemente e ancora più velocemente si sta indebitando. Il boom economico è, in larga misura, sostenuto dagli aiuti che il presidente Recep Tayyip Erdogan ha scelto di concedere alle piccole e medie imprese, già fortemente indebitate anche in valuta estera. Il fine politico della strategia di Erdogan è evidente: fare girare al massimo, anche artificialmente, l’attività economica interna per arrivare in piena espansione alle elezioni del 2019. Ma gli effetti di queste politiche potrebbero mettere in seria difficoltà il Paese euro-asiatico. «Il rischio – spiega l’analista di Nomura, Inan Demir – è di dover gestire un’economia troppo esposta: uno shock esterno sul credito potrebbe far schizzare l’inflazione, spingere la disoccupazione e portare a una complicata stagnazione dell’attività».
Nel terzo trimestre del 2017 il Pil turco è cresciuto dell’11,1% tendenziale che fa prevedere un’espansione del 7% nell’intero anno. Il dato, superiore a ogni previsione, è in parte falsato dal confronto con il trimestre corrispondente del 2016, successivo al tentato colpo di Stato. Ma il boom di Ankara è dovuto soprattutto ai finanziamenti concessi a migliaia di imprese per superare il crollo del turismo, le leggi d’emergenza e la repressione governativa che ha mandato in carcere più di 60mila persone. Con l’ultimo allargamento del Kgf, il fondo di garanzia del credito, il governo ha fatto arrivare alle piccole e medie imprese quasi 60 miliardi di dollari. I tagli alle tasse inoltre, hanno liberato la spesa delle famiglie che nei primi tre trimestri del 2017 è cresciuta quasi del 12 per cento.
I finanziamenti sostenuti dal Kredi garanti fonu del governo rischiano tuttavia di gonfiare l’economia turca in modo artificioso, poco sostenibile e molto rischioso. Sta tornando la paura dell’inflazione che ha avvelenato l’economia fino ai primi anni 2000: i prezzi sono aumentati del 13% nel 2017, il massimo degli ultimi 14 anni e il doppio del target della Banca centrale. La credibilità del Paese è già messa in discussione: il flusso degli investimenti diretti continua a calare e con circa 12 miliardi si è dimezzato negli ultimi dieci anni, mentre lo stock è sceso a 132 miliardi, 50 miliardi in meno rispetto al 2014. Anni di scontri interni e tensioni politiche (anche con gli alleati Europa e Usa) hanno indebolito il cambio: la lira turca ha perso il 10% del suo valore sul dollaro nell’ultimo anno e il 40% dall’inizio del 2015, mettendo in difficoltà le imprese indebitate per 211 miliardi di dollari in valuta estera. Una conferma di come l’economia turca stia crescendo pericolosamente sul debito.