La Stampa, 6 gennaio 2018
Il Cavaliere grigio
Sono trascorsi diciassette anni ma è difficile dimenticare la copertina del 2001 con cui l’Economist dichiarò Silvio Berlusconi «unfit to lead Italy», inadatto a guidare l’Italia. Il direttore era Bill Emmott, ora editorialista della Stampa e dello stesso Economist. Diciassette anni dopo, sempre sull’Economist, Bill Emmott scrive che Berlusconi può essere il «salvatore politico» del nostro Paese. Dovesse prevalere lui, se ne ricaverebbero una stabilità e una responsabilità decisamente superiori a quelle garantite da Luigi Di Maio. Lo aveva già detto, più o meno così, Eugenio Scalfari. Due fra i più inflessibili avversari del berlusconismo si ritrovano quasi a diventarne sostenitori, dopo tante battaglie condotte a fianco del più inesorabile giustizialismo, e proprio adesso che Berlusconi è incandidabile, condannato in via definitiva per frode fiscale. Soltanto che ora ci sono i Cinque stelle, che allo stesso tempo fanno sognare e fanno paura. A prima vista sembrerebbe curioso che Berlusconi, incredibilmente sostenuto dall’establishment più prestigioso, sia attorno al 15-16 per cento, una specie di miracolo vista la qualità della politica prodotta da Forza Italia nell’ultimo decennio, ma comunque il minimo storico, lontanissimo dal 20 per cento sempre abbondantemente superato, anche nel 2013, in coda a una legislatura drammatica. E invece l’interesse di Emmott e di Scalfari e il disinteresse degli elettori si tengono per mano: a differenza dei grillini, Berlusconi non fa più paura e nemmeno fa sognare.