La Stampa, 5 gennaio 2018
Iran, milizie sciite per soffocare la rivolta
I pasdaran richiamano dall’Iraq e dalla Siria le milizie sciite alleate per soffocare in via definitiva la rivolta ma la spaccatura del fronte conservatore rende ancora incerta la lotta all’interno dell’Iran. Le giornate di mercoledì e di ieri hanno segnato una svolta a favore del regime. Il numero delle città coinvolte nelle proteste è calato, gli scontri sono stati contenuti e non si sono registrate nuove vittime. Ma per riportare la calma a un livello accettabile gli ayatollah hanno dovuto mobilitare tutte le loro forze e non sono riusciti a sanare le divisioni interne, che vedono esponenti conservatori cavalcare ancora la rabbia popolare contro il presidente Hassan Rohani.
Un sintomo delle difficoltà, anche se lo stesso Rohani ha garantito in una telefonata al leader turco Erdogan che la situazione «tornerà alla normalità entro la fine della settimana», è l’uso di milizie straniere nelle repressione. Testimoni locali hanno raccontato alla tv saudita Al-Arabiya che miliziani delle Hashd al-Shaabi irachene sono presenti nelle aree abitate da arabi nel Sud-Ovest del Paese, in particolare ad Ahwaz, Abadan, Khorramshahr. Fonti dell’opposizione, citate dal sito Web Amad News, hanno invece denunciato l’arrivo di combattenti afghani della Liwa Fatemiyoun, una brigata impiegata nella lotta contro i ribelli in Siria a fianco dell’esercito regolare siriano e delle milizie sciite e libanesi.
L’uso di milizie straniere fa intravedere scenari siriani, ma accanto alla mobilitazione militare c’è quella nelle piazze. Le autorità religiose hanno organizzato nuove manifestazioni ad Ardabil, Mashhad, Shiraz, Birjand, Isfahan. Ma restano le divergenze all’interno del regime, per esempio a Mashhad, da dove è partito il movimento che continua a contestare Rohani. Ieri la marcia è stata diretta verso il mausoleo di Reza da Seyyed Ebrahim Raeisi, direttore della fondazione che gestisce il santuario e rivale di Rohani alle ultime presidenziali.
La folla irreggimentata ha evitato di attaccare il presidente e il leit motiv degli slogan è stato il classico «Morte all’America e a Israele». Il regime insiste che i disordini cominciati una settimana fa sono un complotto straniero, organizzato direttamente da un «agente della Cia», secondo il procuratore generale Mohammad Jafar Montazeri, e con l’appoggio di «Arabia Saudita e Israele». Washington ha replicato che le accuse sono «ridicole» e chiesto una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, iniziativa respinta dalla Russia.
Al di là della propaganda, le ragioni interne che alimentano le proteste non sfuggono ai dirigenti iraniani. Numerosi parlamentari hanno chiesto di rivedere la legge di bilancio per il 2018, che ha imposto tagli ai sussidi, ai generi alimentari e alla benzina, e all’assistenza sociale. L’esplosione dei prezzi ha spinto in piazza giovani disoccupati e famiglie rovinate dalle speculazioni finanziarie di istituti religiosi. Nei video si vedono donne con l’hijab nero, uomini in abiti tradizionali, quelli che una volta erano i sostenitori del regime e dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad, ora accusato anche lui di fomentare i disordini. Un puzzle difficile da ricomporre anche per un politico cinico e navigato come Khamenei.