Corriere della Sera, 5 gennaio 2018
Telecronache sportive, quando manca il senso del racconto
Non sempre le cose vanno come vorremmo, specie quando s’interrompe un pubblico servizio per salvare il Servizio pubblico. Il giorno dopo, a leggere le reazioni sullo sciopero dei giornalisti di Rai Sport (la partita di Coppa Italia tra la Juventus e il Torino è stata trasmessa senza telecronaca), verrebbe da dire che l’iniziativa della redazione sportiva si è risolta in un effetto boomerang. A partire da un tweet di Gene Gnocchi («Disagi per l’assenza di telecronaca in Juve-Toro: come faremo a far addormentare i bambini?»), giù giù fino allo scatenamento dei social: «Finalmente una telecronaca decente in Rai». Del resto bastava aver sentito la telecronaca della sera precedente (Napoli-Atalanta) di Stefano Bizzotto con il commento tecnico di Marco Amelia per sottoscrivere uno dei tanti sulfurei tweet.
Perché, negli anni, il tema delle telecronache è diventato uno dei più sensibili? In passato, l’analisi del racconto verbale delle partite era tema per specialisti e la principale accusa era questa: basta con le radiocronache, basta con una «descrizione per non vedenti» (Tizio passa la palla a Caio). All’evoluzione tecnologica delle immagini non è corrisposta una crescita del racconto (per esempio, il silenzio è vissuto ancora come il male supremo, i rumori ambientali sono pura dannazione, ecc..). Con l’aumento del numero delle partite trasmesse in tv, è maturata anche l’attenzione verso i telecronisti e soprattutto verso le cosiddette «seconde voci», quasi sempre ex calciatori. Molti imputano ai primi di voler diventare i veri protagonisti della partita, rovesciando sul povero telespettatore il loro ego smisurato, ma accusano anche i secondi di esprimersi in un linguaggio per addetti ai lavori, pieno di tecnicismi incomprensibili. Per questo sta prendendo piede l’abitudine di seguire le partite solo con il rumore ambientale, come se il salotto fosse un’espansione della curva.