Corriere della Sera, 5 gennaio 2018
La nuova euforia di Wall Street
WASHINGTON Wall Street balza oltre i 25 mila punti: evidentemente il mercato finanziario più grande del mondo non condivide lo scetticismo sull’operato di Donald Trump. Secondo le elaborazioni del sito «RealClearPolitics», solo il 45,3% degli americani approva la condotta del presidente nel campo strettamente economico. L’indice Dow Jones, il più rappresentativo del listino ieri ha battuto l’ennesimo record in un anno. Da mesi il presidente cavalca l’onda della Borsa: sarebbe la prova palmare di come l’America stia «tornando grande». In primo luogo grazie al taglio delle tasse, approvato dal Congresso prima di Natale. «Dow Jones arriverà a 30 mila punti e continueremo la grande diminuzione dei vincoli burocratici inutili», ha twittato ieri Trump.
Gli analisti si interrogano sulla corsa del listino. Nel Paese sono ancora troppo fresche le sofferenze causate dalle bolle speculative. È vero: dal gennaio 2017, mese in cui Trump si è insediato alla Casa Bianca, a oggi, l’indice industriale, il più rappresentativo su piazza, è salito di cinquemila punti. Però anche nel 2016, l’anno delle primarie americane con Hillary Clinton favorita fino all’ultimo, l’indicatore aveva guadagnato quasi 4 mila punti (da 16 mila a 20 mila). Questo, probabilmente, significa che l’effervescenza è il risultato di diverse cose. Non può essere dimenticata la spinta lunga e costante della Federal Reserve, con la politica dei tassi a zero e l’acquisto dei titoli voluti da Janet Yellen. Né l’ulteriore salto tecnologico della Silicon Valley, con Apple in prima linea. L’era Trump, dunque, sembra aver accelerato una tendenza già in atto. Il varo della riforma fiscale ha suscitato l’euforia dei manager: taglio delle tasse da 1.500 miliardi di dollari in dieci anni; riduzione dell’aliquota sui profitti delle imprese dal 35 al 21%. La curva del listino si è impennata nelle ultime settimane, quando alle aspettative è subentrata la certezza del diritto. Le finanziarie hanno cominciato a calcolare quale quota dello sgravio fiscale finirà prima negli utili a bilancio e poi nei dividendi. Il valore attuale delle azioni sta già incorporando i futuri benefici. E su questo aspetto dovrebbero meditare tutti coloro che si aspettano che il «bonus» fiscale venga, invece, impiegato totalmente per alimentare investimenti e quindi creare altri posti di lavoro. Il capofila di questo schieramento è proprio Donald Trump. Il dollaro continua a svalutarsi, favorendo la competitività delle multinazionali statunitensi. L’inflazione resta bloccata sotto il 2% e quindi i tassi di interesse potranno risalire con morbida gradualità. Il problema è che tutti questi dati possono nascondere incognite insidiose. Un solo esempio: l’occupazione è in aumento. A dicembre, nel settore privato, sono stati creati 250 mila posti di lavoro, rispetto ai 195 mila previsti. Ma l’inflazione resta bassa: segno che le retribuzioni non sembrano partecipare in modo proporzionale alla grande corsa.