Corriere della Sera, 5 gennaio 2018
La guerra di Trump contro la cannabis
Negli Stati Uniti, Paese nel quale leggi e regolamenti godono di considerazione maggiore rispetto alle nostre terre, si usa dire che non c’è nulla di più incerto del modo di considerare la coltivazione e l’uso della marijuana: in passato illegale dappertutto, ma variamente tollerata. Successivamente legalizzata in otto Stati dell’Unione – ultimo la California dal primo gennaio – ma ancora reato a livello federale.
Ora il quadro si complica ulteriormente con l’intervento del ministro della Giustizia, Jeff Sessions: ieri ha emesso una direttiva che abolisce il precedente regolamento «permissivo» di Obama. Una norma varata nel 2013 dopo i primi referendum: quelli che, a partire dal Colorado, hanno reso leciti produzione, commercio e consumo di cannabis sia per scopi medici che per usi «ricreativi». Negli anni passati giudici e polizia federale sono stati invitati a non adottare interventi repressivi negli Stati in cui la marijuana è stata legalizzata. Ora il ministro arci-conservatore del governo Trump elimina questo freno e così il governo federale, in una situazione già confusa per il sovrapporsi di diversi regolamenti, aggiunge ulteriore incertezza dando ai suoi rappresentanti a livello locale la possibilità di intervenire con ampi margini di discrezionalità: se non è una dichiarazione di guerra alla nascente industria della cannabis, poco ci manca.
A farne le spese in California rischiano di essere soprattutto i pazienti trattati con marijuana per uso terapeutico, legale già da più di vent’anni. Ora, con la legalizzazione anche di quella ricreativa e l’introduzione della relativa imposta statale, si ritiene che il prezzo di questa sostanza psicoattiva aumenterà almeno di un terzo. Ma c’è chi prevede incrementi molto maggiori visto che la California, nel dare attuazione alla liberalizzazione votata poco più di un anno fa, ha varato un fittissimo reticolo di norme – 276 pagine di precetti statali più i regolamenti diversi di ogni municipio e contea – che rendono molto più complicato e costoso produrre e vendere cannabis. Basti dire che le nuove norme autorizzano a coltivare fino a sei piante in giardino ma chi vorrà essiccare le foglie in garage dovrà chiedere un’apposita licenza.
Si tratta di cautele in gran parte comprensibili, data la delicatezza della materia: la California ha, ad esempio, deciso che l’«erba» non potrà essere mescolata con l’alcol, la nicotina, la caffeina e i prodotti ittici. Potrà, invece, essere usata con una certa libertà in cucina e anche in cosmetica. Nei giorni scorsi, così, in California sono stati aperti numerosi negozi e pasticcerie che vendono torte, biscotti e gelati alla marijuana. Ma anche stick per le labbra e creme anticellulite alla cannabis.
Niente «erba» nelle caramelle o in altri dolciumi destinati ai bambini, ma va già molto la cioccolata alla canapa. Gli alberghi aprono dispense di cibi alla marijuana, mentre si moltiplicano i ritrovi per tea party alla cannabis.
Nessuno è in grado di prevedere con precisioni di quanto produzione e consumo di questa sostanza cresceranno con la liberalizzazione e quanto funzionerà da freno l’invito alla severità del governo federale. C’è chi pensa che i consumi potrebbero addirittura aumentare, visto che le controversie accentuano il sapore di «proibito» di un consumo che non comporta grossi rischi penali laddove è stata votata la legalizzazione. Le preoccupazioni maggiori rimangono l’aumento incontrollato dei prezzi e, soprattutto, il pericolo d’infiltrazioni criminali per le opportunità di riciclaggio di denaro sporco che si aprono. In un Paese come gli Usa nel quale quasi tutte le transazioni, ormai, avvengono in forma elettronica, quello della marijuana è, infatti, un affare che deve sempre essere trattato con denaro contante: le banche rifiutano di prestare i loro canali telematici di pagamento temendo rappresaglie del governo.