il Fatto Quotidiano, 5 gennaio 2018
Sesso e ricatti, quando il web diventa un mostro
La 22enne Michela Deriu aveva un debito con qualcuno. Una situazione che le ha stravolto l’esistenza, rendendogliela insopportabile, fino a decidere di togliersi la vita. A renderla ricattabile è stato un video hard che non voleva che venisse diffuso. Questa l’ipotesi che si fa sempre più largo tra le tante vagliate dagli inquirenti alle prese con il suicidio della giovane di Porto Torres, che si è tolta la vita lo scorso 4 novembre. Ora i carabinieri di Olbia e Porto Torres stanno stringendo il cerchio intorno ai presunti colpevoli. Le ipotesi di reato sono istigazione al suicidio, diffamazione aggravata e tentata estorsione. Per il momento sono stati iscritti nel registro degli indagati due ragazzi e una ragazza che avrebbero deciso di diffondere (o comunque cedere a un’altra persona) il filmato hard di Michela, una giovane che tutti descrivono come uno spirito libero, una ragazza solare, dall’intelligenza vivace che, tuttavia, non era mai riuscita a confessare l’angoscia che la opprimeva: quel ricatto economico e morale, pena la pubblicazione del video. Insomma, un’arma potentissima puntata contro la giovanissima per minacciarla e pretendere che saldasse i suoi debiti. Il caso di Michela è la conseguenza più diretta e terrificante di una minaccia che viene catalogata come sexual extortion, o ricatto sessuale, che negli ultimi anni si sta sempre più diffondendo, anche se non esiste una casistica documentata ma solo sparute denunce presentate presso le Forze dell’ordine da professionisti, notai, avvocati, uomini soli e uomini sposati, a volte qualche donna, spesso ragazzini minorenni. Chi la subisce, infatti, paga senza denunciare per il senso di vergogna, per non confrontarsi con i familiari, per non perdere la credibilità sul posto di lavoro e per archiviare velocemente “una cazzata che fai, senza rendertene conto”.
Come è capitato a Luigi M., un 63enne di Augusta, in provincia di Trapani diventato suo malgrado un esperto del sex extortion. “A caderci come pollacchioni siamo soprattutto noi uomini: io appena ho visto un paio di tette sul monitor del pc non c’ho capito niente e mi sono lasciato fregare”, racconta l’uomo.
Del resto, la tecnica con cui si realizzano queste truffe non è molto articolata; piuttosto si butta la rete in attesa che qualcuno abbocchi. Gli autori, soprattutto giovani ragazze dell’Est molto prosperose, iniziano a chattare con numerosi utenti in siti specializzati per gli incontri online. Poi, una volta che hanno costruito una buona relazione e hanno acquistato informazioni, invitano le vittime a praticare attività sessuali online che vengono a loro insaputa videoregistrate. “Io non ho mai pensato che fosse amore, ma Simonetta mi è sembrata una brava ragazza: mi ha raccontato della sua famiglia e dei fratellini che non avevano i libri di scuola perché costavano troppo. E poi – prosegue Luigi – mi spiegava le ricette del ciambellone e del polpettone. Insomma, non era una di quelle ragazze di oggi che pensano solo ai vestiti e al successo. Mi ha messo a mio agio e io pure mi sono aperto con lei, raccontandogli dei problemi con mia moglie e quelli del lavoro. Poi quando mi ha detto ‘mi sto innamorando di te, dai spogliamoci davanti alla webcam’ non c’ho capito più niente. Erano tre mesi che ci sentivamo anche 4/5 volte a settimana, chi ci pensava che avrebbe registrato quel video mentre mi masturbavo?”, si domanda amaramente Luigi. Che, il giorno dopo, riceve sul cellulare un messaggio: “O ci invii mille euro o facciamo vedere a tua moglie il filmato in cui ti sei tanto divertito con la tua Simonetta”. Ma l’organizzazione criminale, probabilmente dell’Europa dell’Est, non si è fermata solo a quel ricatto: “Dopo circa un mese che gli avevo spedito i soldi tramite il circuito Western Union (che rende le transazioni praticamente impossibili da tracciare, ndr), mi sono arrivati altri messaggi in cui mi hanno chiesto 500, 750, 1.500 euro. Io ho continuato a pagare. Ma la mia vita era diventata un inferno. Non sapevo più dove trovare i soldi e i sospetti di mia moglie erano sempre più fitti, mi sono sentito strangolato, respiravo con fatica e la notte non dormivo più. E così sono riuscito a dire stop. Mia moglie è stata comprensiva e mi ha perdonato. Certo che vedere quel video l’ha ferita. Quei farabutti non si fermano davanti a niente”. “Pagare –spiega Sarah Scola, vice questore aggiunto della Polizia – non significa liberarsi dei ricattatori, perché poi continuano a chiedere soldi. Vanno subito denunciati e, su questi siti, bisogna stare attenti a rivelare la propria identità. Stiamo portando avanti numerose campagne di sensibilizzazione per raccontare questo fenomeno che riguarda soprattutto i più giovani”. Sexting, cyberbullismo, revenge porn o hate speech sono la manifestazione più eclatante dell’uso scorretto delle tecnologie, della Rete e dei social network. E c’è sempre il modo giusto per affrontarli, come raccomanda la polizia: mai pagare la somma richiesta per non innescare le richieste via via più esose; bloccare, subito, il contatto, sia sulla piattaforma social che sulla videochat; inoltrare, immediatamente, richiesta di rimozione del video ai gestori della piattaforma sulla quale il video stesso è stato postato; sporgere subito denuncia.