il Giornale, 5 gennaio 2018
Cade anche l’ultimo tabù. Tokyo adesso scommette sul gioco d’azzardo
La prima volta che si mette piede in una sala di pachinko viene da dubitare della sanità mentale dei giapponesi. Luci al neon dai colori eccentrici che neanche Las Vegas, rumore assordante in un Paese dove il silenzio è religione, schermi Lcd che replicano all’infinito puntate di cartoni animati, tutto a far da contorno a decine e decine di macchinette, i pachinko appunto, simili a flipper verticali che costituiscono il centro del tempio. A ogni macchinetta gente sola che fuma, donne e uomini per lo più oltre la quarantina, ma anche giovani che inseriscono decine e decine di palline di metallo grandi quanto un unghia in questi aggeggi colorati. Una volta inserite le guardano semplicemente cadere per forza di gravità, come fiocchi di neve alla finestra. Se entrano nella buca giusta si vincono altre decine di palline di metallo, altrimenti succede in ben oltre il 90% dei casi si perde. E allora giù a pescare altre manciate di palline da far ingoiare alla macchina. Nessuno guarda nessuno, non ci sono commenti da fare e consigli da dare: ognuno gioca e basta. Anche se chiamarlo gioco è difficile perché non c’è nulla di attivo, solo stare a guardare. È piuttosto un riflesso condizionato, in cui viene da chiedersi se i clienti si divertano in qualche modo e se piuttosto cerchino una fuga. Si direbbe che le persone che «giocano» sono mentalmente assenti o momentaneamente in vacanza. Assorte nella loro assordante solitudine, sedute ore e ore dentro sale giochi enormi che punteggiano tutto il Giappone, da Hokkaido a Okinawa. Pare ce ne siano 12mila, qualche anno fa erano quasi ventimila. E anche se i giocatori sono scesi a meno di dieci milioni rispetto ai trenta degli anni Novanta, il gioco tutt’ora ha un giro d’affari di circa 25mila miliardi di yen, 18,5 miliardi di euro, più o meno il Pil delle Mauritius.
Per anni gestita, si dice, dalla Yakuza, la mafia giapponese, il pachinko è stata l’unica forma di gioco d’azzardo permessa in Giappone, almeno fino a quando qualche anno fa non sono state legalizzate le scommesse su corse dei cavalli e auto e successivamente una specie di Totocalcio nipponico. Autorizzato dal 1948, il pachinko è diventato in breve un’ossessione nazionale, con le sale da gioco che si trovano nelle zone centrali delle città o vicino alle stazioni e fanno di tutto per farsi notare, con un profluvio di luci e cartelli per richiamare giocatori.
Una ossessione legale perché è con una sottile ipocrisia assai nipponica che questo sistema di anestesia di massa viene considerato un divertimento e non un gioco. Del resto, per lo meno formalmente, non si vincono soldi, ma premi. Anche se poi ovunque vige il sistema del kankin letteralmente «la conversione in oro», ovvero il cambio dei premi in contanti. Un sistema ovviamente proibito visto che le sale non possono effettuare cambi in denaro, ma largamente in uso. Per cui i giocatori ottengo premi in natura stecche di sigarette, pupazzi, trucchi per signore, videogames o altre palline per giocare che poi scambiano nei negozi che si trovano appena fuori l’ingresso. Negozi che a loro volta li rivendono alle sale da pachinko in un sistema chiamato dei «tre negozi». Di recente il limite di premi convertibili in contanti è stato abbassato: da febbraio si potranno ottenere non più di 50mila yen, circa 370 euro, un terzo rispetto a prima. Tutta l’industria è oggi sorvegliata da un’organizzazione di poliziotti in pensione che sovrintende alle sale e chiude più di un occhio sul sistema del kankin.
Ma questo mondo pittoresco che colpisce ogni straniero che visiti il Giappone potrebbe presto ridimensionarsi perché l’Impero dei segni è destinato a diventare a breve l’Impero del gioco. Il 15 dicembre di due anni fa è passata la prima legge che autorizza l’apertura di casinò all’interno di centri creati ad hoc, tutti dotati di hotel, shopping center e sale conferenze. Entro la primavera di quest’anno il Parlamento di Tokyo dovrebbe definire i dettagli, si vocifera che inizialmente dovrebbero essere due o tre in tutto il Paese. Nel progetto del premier Shinzo Abe, l’apertura dei casinò che dovrebbe entrare a regime dopo il 2020, l’anno delle Olimpiadi di Tokyo dovrebbe raddoppiare il numero di turisti che ogni anno visitano l’arcipelago, portandoli dagli attuali 20 milioni a 40 anche dopo i giochi olimpici. Abe sogna di attirare orde di turisti cinesi, in moda da replicare il successo di Singapore, che dopo aver aperto i primi casinò nel 2013 è subito diventata la terza destinazione mondiale dei giocatori d’azzardo dopo Macao e Las Vegas. Le grandi società internazionali del settore, come le americane Mgm Resort e Las Vegas Sand, e la macaense Melco, del magnate Lawrence Ho, hanno espresso il loro interesse dicendosi disponibili a investire oltre 10 miliardi di dollari pur di entrare mercato giapponese. Così le municipalità fanno a gara per assicurarsi le licenze: Osaka, Yokohama e Nagasaki sembrano le più accreditate, ma anche a Sapporo, nel freddo Hokkaido, fanno pressioni per approfittare della ghiotta novità. Questo anche se l’opinione pubblica nipponica, almeno stando ai sondaggi, è tutt’altro che favorevole all’apertura dei casinò: due terzi della popolazioni si è detta contraria, preoccupata per il ruolo che potrebbe avere la criminalità e per le conseguenze sui giocatori compulsivi.
Secondo uno studio del 2014 del ministero della Salute giapponese, circa 5,3 milioni di giapponesi soffrono di disturbi e dipendenze legati al gioco d’azzardo, in Italia sono 800mila. Sono più del 4% della popolazione, un tasso di molto superiore rispetto gli altri Paese sviluppati. Con una logica apparentemente incomprensibile per noi, ma molto nipponica, in questi mesi lo stesso governo di Abe, che ha promosso la legalizzazione dei casinò, sta lavorando per fare approvare una legislazione per combattere la dipendenza da gioco che preveda programmi speciali per i giocatori. Tra le misure cui si pensa per scoraggiare i giapponesi dall’entrare nei casinò, l’introduzione di un biglietto d’ingresso molto alto, sui 100 dollari, con l’obbligo di mostrare la carta d’identità e di utilizzare solo contanti, mentre gli stranieri potrebbe tranquillamente usare le carte di credito. Misure contraddittorie, che però non impediranno l’apertura dei primi casinò giapponesi. Si accettano scommesse.