la Repubblica, 5 gennaio 2018
Walter Zenga: «Ho pensato alla famiglia sacrificando la carriera ma l’Inter resta un sogno»
CROTONE Poi nessuno ha più ucciso l’Uomo Ragno, e pure il Deltaplano, tra qualche pausa, continua coi suoi voli radenti.
Così domani tornano a casa.
L’Uomo Ragno (sua autodefinizione, quando Sacchi lo segò dalla Nazionale) e il Deltaplano (l’appellativo breriano) sono la stessa persona, che manca a San Siro da un pezzo: l’ultima volta il 29 ottobre 2009, Inter-Palermo 5-3, l’Inter si avviava al Triplete e il Palermo di lì a poco non sarebbe stato più di Walter Zenga. Che ora è un milanese a Crotone e sta per affrontare il Milan del calabrese Gattuso, mentre sua moglie Raluca, alta bionda bella e mamma, passeggia sul lungomare crotonese coi bambini e suscita l’ammirazione delle donne di qui. Intanto Walter si concede alla stampa dentro lo stadio e, dato che è mattino presto, offre caffè e brioches. È carico: domani ritrova la culla.
Cos’è per lei San Siro?
«Tutto. Milano è la mia città, San Siro è casa mia e lo stadio più bello del mondo. Ci ho passato la vita, lì dentro e lì fuori. Da bambini scavalcavamo i cancelli per entrare allo stadio, vi ricordate quante volte si faceva? E aspettavamo il pullman dei giocatori sul piazzale: adesso invece si infila nel garage e nessuno vede più niente. E anche se le panchine sono messe in maniera diversa, e il tunnel che conduce al campo è cambiato, San Siro è comunque un’emozione, quella di sempre».
Ci viveva come in una greppia, negli anni del grande calcio italiano.
«E del grande calcio milanese.
Che derby, quei derby. Di là Maldini, Franco Baresi, Costacurta, Donadoni, di qua io, Bergomi, Ferri, Beppe Baresi.
Tutti nati nei settori giovanili, giocavamo quelle partite da quando avevamo dieci anni.
Senso di appartenenza, passione, cuore. Nemici in campo, non ti guardavi neppure in faccia, ma che rispetto, fuori, del resto poi quei campioni li ritrovavi in Nazionale. E che tensioni. Un giorno siamo nel tunnel prima di entrare in campo, Collovati mi dice con un filo di voce: ‘Facciamo il lavoro più bello del mondo.
Peccato che poi ci sia la partita…’»
Un Milan-Inter particolarmente duro?
«Aprile 1988, incontriamo il Milan di Sacchi lanciato verso lo scudetto. Ci massacrano. Finisce 2-0 ma io faccio forse 28 parate, una cosa mai vista. Il giorno dopo i giornali mi danno 9 in pagella. Ma a un certo punto del bombardamento dico a Maldini, in area: “Adesso piantatela, sono stanco”. La piantano».
A che punto siamo, col rodimento di non aver mai allenato l’Inter?
«Sono nato interista e morirò interista, orgoglioso di esserlo, è una fede che non cambia, ciò che ho fatto in ventidue anni di Inter resterà nella storia. Volevo allenare solo l’Inter, è sempre stato il sogno: finora ci sono andato vicino tanto così. Peccato che al Milan abbiano dato possibilità agli ex giocatori e all’Inter mai. Ora penso solo a fare il bene del Crotone, poi vedremo».
Altre squadre del cuore?
«La Samp. Anche per l’amicizia con Vialli e Mancini, fin dai tempi dell’under 21. Andai pure a vedere la loro finale di Coppa Campioni a Wembley nel 1992. Quando ho allenato la Samp, per me era un punto d’arrivo. Poi ho avuto la sfortuna di perdere di brutto quel preliminare di Europa League, a cui la Samp nemmeno doveva partecipare, e tutto è precipitato. Magari la mia carriera avrebbe preso pieghe diverse se quell’anno il Genoa avesse avuto i soldi per la licenza Uefa…»
A proposito: lei ha allenato in sette paesi stranieri e pochissimo in Italia, e a parte quei pochi mesi alla Samp, il Crotone è la sua squadra più a nord. Perché?
«Il destino ha girato quando ho rinunciato al Catania, sbagliando, dopo un anno e mezzo lì. Avevo due grossi club dietro e mollai Catania, ma poi fui mollato a mia volta dai due club e a quel punto finii a Palermo. Dove arrivò l’esonero anche se eravamo noni, e a quel punto ho dato priorità alla famiglia. La volevo far vivere bene, a Dubai, e me ne sono fregato completamente della carriera: i valori della vita sono più importanti di una partita o di una panchina. Un passaggio in Arabia Saudita, perché mi andava, poi Dubai. Tornai solo per la Samp, poi di nuovo via».
Che ne pensa del Var?
«Boh, sono qui da poco e non ci ho capito niente. Ma dico: non è possibile che in tribuna e in tv tutti sanno cosa sta accadendo, mentre noi in panchina ci guardiamo intorno senza capire nulla. E se per caso guardi un telefonino ti arrivano i fulmini dall’alto. Mi sembrano cose da migliorare. Poi ormai se fai gol devi aspettare a esultare, se lo prendi non devi deprimerti e attendere ancora. Molto strano, ecco».
Che Crotone vuole e che Milan si aspetta?
«Voglio una squadra che non scenda in campo pensando di essere inferiore, ma che giochi a viso aperto, con fiducia, perché così ci si salva. Al Milan Rino sta facendo un ottimo lavoro, ho visto progressi. Ma dato che è calabrese, su: si metta una mano sul cuore».
Walter Zenga guarda sempre alla vita con un certo ottimismo.
«Contano i valori, il lavoro, il voler andare avanti e migliorarsi, nonostante tutto. Non mi cambia la vita vedere che c’è il sole o piove. Anzi, se piove, rinuncio all’ombrello e imparo a ballare sotto la pioggia».