Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 05 Venerdì calendario

«Torno in campo qui nel mio Molise. Sono io l’apripista dei Cinquestelle». Intervista ad Antonio Di Pietro

ROMA Antonio Di Pietro da Montenero di Bisaccia, classe 1950, figura simbolo dell’inchiesta Mani Pulite, aveva lasciato la politica attiva cinque anni fa, alla fine di una lunga e controversa stagione. Basta con il Senato, basta con le polemiche quotidiane, basta perfino con l’Italia dei Valori, il partito che era lui.
L’unico legame che gli è rimasto con il Palazzo, quel vitalizio da 3.700 euro al mese che figura nelle liste pubblicate alla fine del 2013 da Primo Di Nicola sull’Espresso. «Continuerò a fare il militante», disse al settimanale dopo aver gettato la spugna. Ed era tornato al mestiere che già aveva praticato fra un seggio parlamentare e il successivo. Ossia l’avvocato: una volta a fianco dei lavoratori della fallita Federconsorzi contro quelli imputati di averla fatta fallire, un’altra accanto alle famiglie colpite dal terremoto di San Giugliano di Puglia che fece strage di bambini innocenti. Lo studio legale, quello del fedele Sergio Scicchitano, che quando Di Pietro era ministro delle Infrastrutture nel secondo governo Prodi ebbe una poltrona nel consiglio di amministrazione dell’Anas. Ma sull’isola deserta l’avvocato Di Pietro non è mai riuscito a rimanere.
Per restare alle ultime iniziative, ha fatto parte del comitato per il referendum contro l’Italicum, e tre mesi fa ha annunciato pubblicamente la raccolta di firme contro il Rosatellum. La legge elettorale che ora potrebbe riportarlo in Parlamento.
Dunque ci risiamo.
«In effetti sto valutando se candidarmi. Nel mio Molise».
Con chi?
«Come indipendente per il centrosinistra. Nel maggioritario, ovviamente».
Quale pezzo, di grazia?
«Partito democratico o Liberi e Uguali. Sarebbe meglio tutti e due insieme».
Ma sono avversari. Se la staranno litigando.
«Me l’hanno chiesto tutti, di candidarmi. E non è ancora detto che lo faccia. Ripeto: sto valutando. Ma sono nato politicamente con il centrosinistra e la mia scelta non può essere che questa».
Ho riletto l’intervista che ha rilasciato qualche mese fa alla nostra Giovanna Casadio: “Mani pulite ha prodotto un vuoto: è da lì che sono cominciati i partiti personali.
Ma sono partiti che durano lo spazio di un mattino, io ne sono la prova vivente”. Lo sa, vero, che l’Italia dei valori sulla carta esiste ancora?
Nostalgie?
«Acqua passata. Sono stati tutti figli miei, è stata una esperienza davvero bella, abbiamo fatto un sacco di cose buone».
Un sacco?
«L’Italia dei Valori è stata l’apripista del Movimento 5 stelle. Certo, abbiamo compiuto anche scelte sbagliate. E credo che proprio da quella mia esperienza i grillini abbiano imparato molte cose. A cominciare da quello non si deve mai fare in politica».
Sbagliando s’impara, dice il proverbio. Lei ha imparato, alla fine?
«Lo sbaglio più grosso l’ho fatto nella costruzione della classe dirigente del partito».
Basta l’elenco di quelli che ha portato in parlamento.Sergio De Gregorio, Domenico Scilipoti, Antonio Razzi…
«Razzi, Razzi… L’hanno fatto diventare una macchietta, ma in questo parlamento ne sono passati centinaia come lui. Con la differenza che Razzi almeno ha detto chiaramente la ragione per cui è lì, una ragione strettamente personale: “mi faccio i cazzi miei”. Ma gli altri?
Se Razzi ha tradito, lo ha fatto nel momento in cui altri 153 avevano tradito. Di questi non diciamo nulla? Vogliamo parlare per esempio di Massimo Calearo, che è stato eletto con il centrosinistra e poi è finito con Berlusconi?»
Lasciamo perdere. E i Cinque stelle che cosa mai avrebbero imparato dall’Italia dei Valori?
«Che non si può candidare chi ha fatto già politica nei partiti. Da questo punto di vista devo riconoscere che hanno fatto un notevole passo avanti».
Ma a quanto pare hanno imparato anche la parolina magica: deroga. Almeno se è vero che potrebbero candidare un ex senatore del suo partito, Elio Lannutti.
Magari ci sarebbe una deroga anche per lei, che dice?
«Dico di no. Anche se con i militanti dei Cinque stelle, confermo, ho un bellissimo rapporto. Ma come faccio?»
Dopo tutto, con Grillo ha condiviso anche lo stesso fornitore di servizi web, la Casaleggio e associati.
«Se mi candido, e ancora non è deciso, lo faccio soltanto come indipendente».
Onestamente: meglio fare il politico o l’avvocato?
«Nel mio caso esercito professionalmente soprattutto per me stesso. Come cliente, intendo. Ho ancora addosso 263 cause per diffamazione fra Roma, Milano e il resto d’Italia. Fra tribunali, ricorsi e giudizi d’appello riesco a malapena a tenerle a bada. Non guadagno.
Ma almeno non sono costretto a pagare l’avvocato».
Meglio la politica, allora.
Anche se un po’ stagionata.
«Dopo tutto non sono ancora decrepito».