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 2018  gennaio 05 Venerdì calendario

La gloria del salice piangente sofisticato e un po’ demodé

Simbolo supremo di quel giardino romantico e un po’ decadente che oggi pare a molti così démodé, i salici piangenti sono la gloria delle rive più sofisticate: le foglie lucide, argentate e quasi inconsistenti e il movimento leggero delle fronde ad ogni minima brezza hanno fatto nei secoli la fortuna di laghi, ponticelli, canali e isolotti. Un po’ come è accaduto, in modo ben più rustico e spartano, con i loro parenti poveri, i salici delle nostre campagne, le vedette che da sempre presidiano fossi, rigagnoli e bialere.
A parte il legame con l’acqua sembrerebbe esserci poco in comune: il contesto tradizionalmente diverso, ricercato e giardiniero l’uno, ruspante ed agricolo l’altro, e il portamento non ricadente dei salici nostrani tendono a offuscare le affinità. Che invece sono molte: dalle cortecce grigio chiaro e screpolate alle radici possenti che si ancorano con forza al terreno e contrastano i dilavamenti, dalla velocità con cui la pianta cresce alla purtroppo poca longevità (vive in media una sessantina d’anni). Le foglie poi, almeno quelle del salice bianco (Salix alba) e del Salix viminalis che crescono spontanei qui intorno, sono strette, lanceolate e grigio verdi, molto simili alla specie piangente.
Le specie
Tutti hanno un’aria un po’ vaga e malinconica, dovuta anche al fatto che spesso vengono cresciuti solitari e isolati, in un unico esemplare ben distinto da ciò che c’è intorno. D’inverno il fascino è garantito dal portamento. Tra poco fioriranno gli amenti, chiamati «gattini», i famosi catkins dei racconti inglesi, vellutati ed argentei dapprima e poi giallo chiaro, più vistosi nelle specie spontanee che nel salice piangente. Tra tutti i più belli sono quelli del salicone, il S. caprea, che già da gennaio rende iridescenti i nostri boschi. Oltre a quello bianco, detto anche «salice delle pertiche» per via del legno tanninico e resistente perfetto come manico di zappe, vanghe & Co., i salici autoctoni in Italia sono tantissimi. Il più conosciuto è il S. viminalis, prediletto per intrecci e legature, quello del comune vimini, un tempo cresciuto accanto a vigne e frutteti. Tutti hanno nella corteccia la salicina, che è poi la sostanza alla base del noto acido salicilico (quello dell’aspirina per capirci)...
Per il giardino esistono cultivar speciali in Italia quasi sconosciute, ma in Inghilterra molto proposte proprio per i colori accesi dei giovani getti, capaci di rendere accattivanti questi mesi di assenze e grigiori. Dal S. alba Hutchinson’s Yellow, del giallo più acceso di tutti, ad alcune varietà di salice nero, come il S. daphnoides Oxford Violet , porpora, o il S. d. Aglaia, di un lucido mogano. E l’elenco potrebbe continuare...
La storia
Al contrario il salice più celebre di tutti, il piangente, è ormai sempre meno piantato anche oltremanica. La sua origine è cinese, non si sa ben da dove perché sembra che in natura sia ormai estinto, ma di certo è arrivato in Europa attraverso talee portate dai mercanti che percorrevano la Via della Seta. Da Aleppo giunse nella prima metà del 700 in Inghilterra e da lì ai Clifford Gardens in Olanda dove Linneo lo studiò. Fu lui a ritenere erroneamente che si trattasse delle piante che la Bibbia racconta crescessero lungo l’Eufrate e da qui ne derivò il nome che ancora oggi porta, quello di S. babylonica. Pare invece che fossero dei pioppi... Fatto sta che da allora divenne insostituibile nello skyline del nuovo giardino all’inglese, quello che proprio in quegli anni Capability Brown andava arricchendo di corsi d’acqua sinuosi e scenografici laghi. Per tutto l’800 i bonapartisti usavano piantarlo nei loro giardini a ricordo del «grande corso», si dice da talee spiccate dai vecchi salici che crescevano sulla sua tomba in quel di Sant’Elena. La facilità con cui i salici si ibridano tra loro ha poi portato ad un campionario numerosissimo. Dal salice bianco e dal piangente si è ottenuto il gruppo romanticamente detto dei S. x sepulcralis, di cui fa parte il noto S. x s. Chrysocoma, con rami dorati e foglie chiare. E dorate diventano pure d’autunno le foglie. Facile, veloce e di grande effetto il salice piangente andrebbe riscoperto. E piantato senza troppi falpalà: le sue forme così particolari preferiscono a mio giudizio un contorno quanto più semplice e naturale possibile. Umido certamente, ma non per forza fatto di acqua.