La Stampa, 5 gennaio 2018
Teheran, i ragazzi dell’Onda Verde restano a casa: «Questo movimento non ci appartiene»
Coloro che hanno suscitato l’Onda Verde, oggi non la vogliono cavalcare. Sono i riformisti, i verdi, i tre milioni di giovani di Teheran che nel 2009 erano scesi in piazza per reclamare il loro voto – a seguito delle contestate elezioni tra il leader riformista Mir-Hosein Mousavi e il populista Mahmud Ahmadinejad. Oggi sono confusi, ma soprattutto scettici. L’Iran è in fiamme, eppure a Teheran il clima è più mite e i suoi giovani cittadini guardano con sospetto all’azione dei loro coetanei scesi in piazza soprattutto nelle province.
«Mi puzza di complotto», dice una giovane architetta che preferisce rimanere anonima. Era in piazza nel 2009, ma non esce di casa da giorni. «Non capisco il disegno che c’è dietro a questo movimento». Parla di una congiura, non tanto delle forze straniere – a differenza di quanto ha denunciato la guida suprema Ali Khamenei – quanto dei conservatori che vorrebbero mandare a casa il presidente moderato Hassan Rohani che a maggio scorso è stato eletto per il secondo mandato. Non è un caso, continua ad affermare l’architetta, che il focolaio delle proteste sia proprio a Mashad, roccaforte dei conservatori. Non c’è alternativa politica, e questo genera ulteriore disordine, «la rivolta attuale è frutto dell’ignoranza», continua un’altra giovane storica dell’arte. Addirittura critica quello che nella stampa occidentale si sta diffondendo come simbolo della protesta: la giovane studentessa che invece di avere il velo in testa, se lo è tolto e lo ha brandito come una bandiera. «In un momento di tale destabilizzazione, qualsiasi cosa sta diventando un pretesto, ma è tutto orchestrato».
Secondo alcuni giovani riformisti non c’è dubbio sulla necessità di lottare per le libertà civili, ma non in questo modo. C’è troppa confusione, dagli slogan che inneggiano al ritorno della monarchia Pahlavi – che ha preceduto la rivoluzione khomeinista del 1979 – all’eccessivo prezzo delle uova, all’opposizione contro l’intervento armato in Siria, «il vero rischio sta nel diventare proprio come la Siria se protestiamo senza avere alternative concrete».
Non scorgono una regia politica, ma vedono solo improvvisazione sovversiva: «I giovani per strada appartengono a un ceto povero, sanno quello che non vogliono, ma non sanno ciò che vogliono», dice Ramita (nome di fantasia, come nel resto dell’articolo), studentessa di storia dell’arte all’università di Teheran. I ragazzi dell’Onda Verde piuttosto si mantengono fedeli alla linea riformatrice, e non a quella rivoluzionaria. Cambiamento sì, ma all’interno del sistema, passo dopo passo, dal basso verso l’alto. Sheri ricorda infatti che, nonostante la brutale repressione a seguito della vittoria inaspettata di Ahmadinejad, gli slogan dei protestanti non sono mai arrivati a chiedere l’abbattimento della Repubblica Islamica. Non era una rivolta per la rivoluzione, ma in difesa del movimento riformista iniziato con la presidenza di Mohammad Khatami negli Anni Novanta. In uno dei titoli di ieri del giornale riformista «Shargh» c’è appunto un appello ai riformisti affinché evitino il peggioramento della situazione.
Non tutti sono d’accordo, un giovane regista politicamente attivo durante le proteste del movimento verde è di tutt’altro avviso: «Noi riformisti abbiamo scelto tra il male e il peggio quando ha votato Rohani e siamo rimasti delusi. Questi ragazzi invece lottano per un cambio radicale e necessario, ma qui a Teheran non lo capiscono perché non conoscono la morsa della fame».
Delusi, isolati ma scettici, gli iraniani dell’Onda Verde mantengono le distanze con coloro che protestano. Non credono nella possibilità di un cambio radicale. Sembrano piuttosto concordare con il tweet dell’accademico iraniano Sadegh Zibakalam: «Una delle ragioni per cui la democrazia ha fallito in Iran, è a causa dei radicali – un passo avanti, ma sempre due indietro».