La Stampa, 5 gennaio 2018
Intervista all’analista Arthur Guarino: Le battaglie nascoste per l’acqua i veri conflitti del nostro tempo
«La battaglia delle dighe tra India e Pakistan, l’isolamento idrico degli Emirati, l’instabilità mediorientale, ma anche la corsa ai metalli e la battaglia dei microchip: sono alcuni esempi delle guerre “sotto traccia” che giorno dopo giorno si consumano per ottenere maggiore accesso alle acque». A parlare è Arthur Guarino, docente di Rutger Business School e autore di rapporti sulle conseguenze derivanti dalle crisi idriche.
In un mondo glocal come quello attuale, l’acqua è una risorsa più o meno strategica rispetto al passato?
«È sempre più strategica e intimamente connessa al quotidiano. Pensiamo all’agricoltura, grande consumatrice di acqua per ottenere alimenti. Se questa manca, i costi di produzione aumentano e il rincaro si trasmette su tutta la filiera sino al consumatore, che dovrà pagare di più per nutrirsi. Pensiamo poi al comparto manifatturiero dove il fabbisogno di acqua è elevato, specie in alcuni settori. Se manca, i prezzi di produzione e di vendita aumentano, con rincari anche in questo caso su tutta la filiera, fino al consumatore finale. Questo cosa significa? Carovita, lo stesso motivo per cui vediamo oggi cittadini manifestare nelle piazze di diversi Paesi al mondo».
Parlava di settori in particolare.
«La produzione mineraria ad esempio, i metalli preziosi e la recente corsa al cobalto per produrre batterie usate per l’elettronica. O la produzione di microchip, che richiede molta acqua al contrario di quanto si possa pensare. Persino i jeans sono fatti con un tessuto per la cui produzione occorre non poca acqua. Non solo pensiamo al turismo, il Nevada è alla ricerca affannosa di acqua per i suoi tanti golf resort di recente realizzazione e che impiegano migliaia di persone».
Un tempo la contesa sulle acque era causa di conflitti tra tribù e popolazioni, lo è anche oggi?
«Assolutamente si. Ad esempio, la battaglia delle dighe tra India e Pakistan. Deli costruisce sempre più barriere e bacini su fiumi che bagnano anche i territori della nazione confinante, limitando l’accesso alle acque per i pakistani e facendo infuriare Islamabad. O gli Emirati con città come Dubai, in continua espansione, che accrescono giorno dopo giorno il fabbisogno di acqua pur avendo risorse limitate. Per questo devono ricorrere a costosi processi di desalinizzazione del mare, sino ad un certo punto economicamente convenienti, e soffrono pertanto una sorta di isolamento idrico che contribuisce ad acuire contrasti regionali come quello a cui assistiamo di frequente. Quello che succede in Medio Oriente è anche causato da contenziosi per l’accesso alle fonti idriche. Israele, che punta all’autosostentamento agricolo deve avere più acqua a disposizione. Ma la stessa acqua serve ai palestinesi per la loro sopravvivenza e questo è motivo di conflitto, specie dinanzi alle ambizioni dello Stato ebraico di allargare gli insediamenti dei coloni. Si tratta di conflitti sotto traccia, spesso offuscati da cause più moderne come il petrolio, il nucleare o le armi, ma che si consumano ogni giorno senza soluzione di continuità».
La colpa è anche la carenza infrastrutturale?
«Ci sono gravi mancanze, a livello globale. Bisogna spendere di più e investire meglio per migliorare le infrastrutture. Pensiamo a certe realtà dell’Asia o dell’Africa. Ma anche all’Italia meridionale, ad esempio, alle sue potenzialità agricole. O senza andare troppo lontani, al Michigan, con la crisi idrica di Flint costata la vita a persone a causa delle acque contaminate. O a condotte e tubature di altre grandi città comprese quelle di New Jersey e New York».
Come si possono contrastare le crisi idriche?
«Innanzitutto educando, sin da giovani. La lotta agli sprechi è il primo punto, educare i governi, le persone e le imprese. Non si deve lavare l’auto tutte le settimane, non si devono fare docce interminabili. In agricoltura, occorre ottimare la canalizzazione e l’irrigazione, nell’industria la raccolta. Servono partenariati tra governi imprese e settore primario, e soprattutto opere di prevenzione per evitare i disastri naturali dettati dalla scarsità, ma anche da eccessi di acqua».