Il Sole 24 Ore, 5 gennaio 2018
I 9 miliardi delle grandi famiglie. A quanto ammonta il «tesoro» delle holding d’investimento più ricche di Piazza affari
Tutte insieme custodiscono un tesoretto che tra cash e riserve arriva a quasi 9 miliardi. Sono le holding delle famiglie di piazza Affari, nomi di spicco come Berlusconi, Benetton, Caltagirone o Del Vecchio solo per citarne alcune. Dinastie storiche che hanno costruito veri e propri imperi e che nell’ultimo anno, per motivi diversi, si sono trovate nel bel mezzo di importanti partite i cui sviluppi sono attesi nei prossimi mesi. Le operazioni in via di definizione sono tante e a più livelli, dalla conquista di Abertis da parte di Atlantia, alla fusione tra Luxottica ed Essilor. Così come ci sono situazioni di stallo ancora da risolvere, come gli equilibri di Mediaset o di Banca Carige. Infine c’è chi, come i Pesenti, sta ridisegnando una intera strategia. Fatto sta che, allo stato attuale, c’è una montagna di liquidità. Che, a seconda di come si risolveranno i riassetti in corso, potrebbe essere utilizzata per implementare progetti di ampio respiro o allocata altrove. Il Sole 24 Ore ha ricostruito la fotografia più aggiornata delle holding più ricche di piazza Affari e le sfide che dovranno affrontare nell’anno in corso.
Edizione super liquida
In alcuni casi come per il gruppo Caltagirone, mancano documenti ufficiali, ma fonti autorevoli quantificano in circa 1,5-2 miliardi la liquidità a disposizione dell’imprenditore romano e delle holding a lui riconducibili. In altri, invece, come per la famiglia Benetton parlano i numeri. Edizione, la holding della famiglia Benetton che tiene le redini di Autostrade, Autogrill e Benetton group vanta un net asset value di 12,1 miliardi e una cassa di 1,85 miliardi, di cui 258 milioni gestiti dal fondo Questio. La capogruppo ha infatti archiviato il 2016 con profitti per 308 milioni e dai dati emerge che ha a disposizione oltre 1,85 miliardi di cassa. Si tratta di risorse importanti che la holding potrebbe utilizzare per agevolare progetti di espansione delle proprie partecipate, rafforzandone la presenza nei settori di competenza. La holding di Ponzano Veneto, del resto, si trova nel bel mezzo della conquista della spagnola Abertis dove si fronteggia con il gruppo Acs-Hochtief che ha lanciato una contro Opas su Abertis su cui si esprimerà a breve la Cnmv, la Consob spagnola. Su un altro fronte Autogrill, invece, ha appena riorganizzato la struttura, trasformando nella sostanza la società in una sorta di holding, come Atlantia, per poi studiare al meglio possibili percorsi di valorizzazione.
Pesenti ripensa la strategia
Chi invece, probabilmente entro il 2018, dovrà definire la propria strategia è Italmobiliare. La holding della famiglia Pesenti ha una decina di dossier attualmente sul tavolo e una capacità di investimento di circa 750 milioni. L’idea, secondo quanto emerge negli ambienti finanziari, è quello di costruire un portafoglio partecipazioni a regime formato da circa 7-8 società di taglia media e diversificato in termini di settori. Nell’ultimo anno, secondo quanto si apprende, Italmobiliare avrebbe esaminato 108 dossier, di cui circa una sessantina in modo più articolato. Sul tavolo di Carlo Pesenti sarebbe finita Oviesse, Edison, ma anche Rimorchiatori riuniti. La scrematura è stata necessaria soprattutto in vista di quello che Italmobiliare, secondo i ben informati, vorrebbe diventare: una holding a capo di un ristretto numero di società attive di settori ben delineati e diversi tra loro.
Fininvest e il nodo Vivendi
Per la holding che fa capo alla famiglia Berlusconi il 2018 dovrebbe rappresentare l’anno della così detta pax con il gruppo Vivendì, entrato nel capitale di una delle principali controllate, Mediaset, con circa il 29,9%. I tempi sono ormai maturi per trovare un accordo con il socio francese. Un appuntamento a cui Fininvest si presenta con in cassa liquidità per circa 400 milioni di euro. Si arriva questo numero considerando da un lato gli acquisti di titoli Mediaset da parte della holding e dall’altro la liquidità incassata dalla vendita del Milan.
Nel dettaglio, a fine 2016 la posizione finanziaria netta di Fininvest era infatti positiva per circa 190 milioni. Il dato risentiva soprattutto dei circa 200 milioni spesi a dicembre per l’acquisto di azioni Mediaset (pari a circa il 3,5% del capitale) e dei circa 200 milioni incassati (tra agosto e dicembre) in caparre relative alla vendita del Milan. Ad aprile 2017, con il versamento del saldo per l’acquisto del Milan, la liquidità di Fininvest è salita a oltre 450 milioni. E nello stesso mese (aprile 2017) sono stati spesi 55 milioni per l’acquisto di azioni Mediaset (circa l’1,2% del capitale).
Per gli Agnelli, invece, dopo i massicci investimenti portati a termine negli ultimi due anni, la priorità oggi è rappresentata dalla riduzione del debito. Exor a fine giugno evidenziava una posizione finanziaria netta negativa per 3,2 miliardi di euro. L’obiettivo è tornare ad investire già a partire da quest’anno, sulle proprie controllate o al di fuori dell’attuale perimetro. È una holding profondamente cambiata la società controllata dalla famiglia Agnelli. Una società ricca come mai in passato, più internazionale, e snella sul fronte della struttura societaria. Ricca perché il Nav è passato dai 5 miliardi di dollari del 2009 a quasi 22 miliardi. Internazionale perché la campagna acquisizioni, partendo dall’americana Partner Re, ha aperto nuovi mercati e conseguenti ricavi. E snella perché dalle “vecchie” cinque holding oggi ne è rimasta solo una, Exor appunto. Tutto ciò si è naturalmente tradotto in un forte apprezzamento del titolo passato dai 5 euro di marzo 2009 agli attuali 51 euro attuali.
Delfin più francese
Il 2018 rappresenterà anche un anno di grande trasformazione per il gruppo Luxottica e, di riflesso, per la holding della famiglia Del Vecchio, la lussemburghese Delfin. Nei prossimi mesi si capirà infatti l’esito del progetto di aggregazione con la francese Essilor, appesa alle autorizzazioni Antitrust. Detto ciò, all’appuntamento con il matrimonio italo francese la cassaforte Delfin si presenta liquida come non mai. I documenti depositati in Lussemburgo vedono nel 2016 l’utile netto della holding della famiglia Del Vecchio a quota 312 milioni di euro. Ma il vero tesoro è nelle riserve: a fine 2016 ammontavano a 2,65 miliardi da 2,25 miliardi del 2015. Gli asset della cassaforte che detiene il 62,55% di Luxottica e altre quote finanziarie, tra qui le partecipazioni in Generali e UniCredit, a fine anno totalizzavano 8,99 miliardi dagli 8,68 miliardi del 2015.
Un miliardo per Malacalza
Infine, nel mondo bancario spicca tra gli imprenditori più liquidi la famiglia Malacalza. Soci di riferimento di Banca Carige al 20,639%, la famiglia ligure è il primo e indiscusso azionista singolo dell’istituto. E nonostante i più recenti investimenti, incluso quello nell’istituto ligure, evidenzino minusvalenze clamorose, risulta che la famiglia, nel suo complesso, abbia ancora a disposizione poco meno di 1 miliardo di euro in termini di liquidità. Cifra che emerge dall’analisi del bilancio più recente, 2016, di Hofima, la holding italiana di Davide Malacalza dove, alla fine dello scorso esercizio, risultavano depositi bancari e postali per circa 468 milioni di euro. Altrettanto dovrebbe essere nelle disponibilità di Mattia Malacalza, per una cifra complessiva che, secondo fonti qualificate e tenuto conto di ciò che ruota attorno al patron Vittorio Malacalza, sarebbe di poco inferiore al miliardo di euro. Una montagna di liquidità che dimostra il profilo patrimoniale particolarmente solido della famiglia. e questo nonostante l’avventura nella banca ligure abbia bruciato il tesoretto raccolto con l’investimento in Pirelli e abbia appena intaccato la storica liquidità miliardaria incassata dalla vendita delle attività siderurgiche.