Il Sole 24 Ore, 5 gennaio 2018
Il momento d’oro dei musei. In vent’anni visitatori da 25 a 45,5 mil e incassi da 52,7 a 174,9 mil
I musei italiani riallestiscono le collezioni, organizzano mostre, aprono nuovi spazi e i risultati si vedono: 45,5 milioni di visitatori e 174,9 milioni di introiti lordi da biglietteria nel 2016. Vent’anni fa erano 25 i primi e 52,7 i secondi: quasi raddoppiati i visitatori e triplicate le entrate. Di strada ne è stata fatta e le visite ai musei nel 2017 sono in crescita. Ma a osservare da vicino i visitatori, ci si domanda: quante sono le teste e quanti i biglietti? La domanda, già emersa con qualche polemica per Expo 2015 Milano, torna sui dati che il ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, pubblica sul Sistan. Sul vocabolario, biglietti e visitatori non sono sinonimi, eppure qualcuno potrebbe averli caricati come tali nella raccolta dati del Sistema statistico del Mibact.
La riforma del 2014 che ha riguardato i musei statali italiani ha dato un forte impulso, ma ora che bisogna cominciare a tirare le fila, le informazioni statistiche devono essere uguali per tutti. Perché per alcuni i visitatori sbandierati non sono teste ma biglietti staccati e dichiarati in Siae. Sliding doors in alcuni casi: il visitatore che stacca tre biglietti per vedere le diverse proposte all’interno della singola istituzione culturale viene contato tre volte. Ad esempio alla Reggia di Venaria per vedere la Reggia o le Scuderie, i Giardini o le quattro o cinque mostre temporanee che di volta in volta vengono allestite ci sono biglietti diversi. Così si è collocata al top dei primi 28 siti censiti dal Mibact per incremento del numero di visitatori tra il 2015 e il 2016 (+71,3%), mentre le entrate sono salite solo del 36,44%. Com’è possibile?
Se nei circuiti museali e archeologici questo è normale – sono proposti più biglietti offrendo più realtà museali al loro interno – non lo è in istituti che non rappresentano un circuito. Nel 2015 vigeva un biglietto singolo per area o museo circuito, dal 2016 si possono vendere solo biglietti cumulativi. La Reggia di Venaria è gestita dal Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, ha autonomia gestionale ed è nelle sue disponibilità scegliere come far pagare gli ingressi. Bene, ma quando il Mibact fa l’encomiabile sforzo di raccogliere dati, elaborarli e diffonderli per monitorare, con un approccio alla politica culturale finalmente evidence-based, i risultati delle sue scelte, allora i numeri devono essere omogenei. Il totale dei visitatori comunicati dalla Reggia nel 2016 era di 994.899, ma non possono essere paragonati a quelli per esempio del vicino Museo Egizio (Fondazione), giusto per restare sullo stesso territorio, pari a 852.095 visitatori, dove si entra con un solo biglietto intero (15 euro). Perché altrimenti i confronti non sono oggettivi. La prima registra – secondo i dati forniti dalla biglietteria della Reggia al Sistan – un aumento di biglietti staccati totali del 71,3% e di quelli paganti addirittura del 73,6% a fronte di un incremento degli introiti solo del 36,4%. Perché questa discrepanza? Colpa dei pacchetti (visita alla Reggia, ai Giardini e alle mostre in corso da 25 euro) o delle tante tariffe che poi si trasformano in biglietti frazionati sul medesimo visitatore? Dal Consorzio fanno sapere che i dati forniti al ministero sono correttamente indicati, in quanto oggetto della richiesta è il numero di biglietti emessi dai rilevatori fiscali. Dal Sistan ci confermano di lavorare su un biglietto per visitatore che viene inserito direttamente sul sistema informativo in rete dalle biglietterie in gestione o da quelle dei musei. Fanno eccezione fondazioni o consorzi i cui tabulati vengono forniti dai referenti periferici del personale ministeriale.
Giusto attrarre con sempre nuove proposte i visitatori. Ma come contarli? E se il numero dei biglietti non corrispondesse ai visitatori per alcuni musei e per altri sì? Un gran pasticcio che rischia di esprimere numeri in libertà.
Per molti musei gli incrementi degli introiti sono da attribuire a un recente cambio di politiche tariffarie, insieme anche con un relativo aumento degli ingressi e a una tenuta del biglietto medio tra gli 8 e 10 euro. Ogni istituzione sceglie quanto far pagare gli ingressi e in molti hanno aumentato il biglietto intero; certo, il problema sorge poi nella comparazione dei dati raccolti dal Sistan e classificati sotto la voce visitatori. Le incongruenze saltano agli occhi quando si confrontano i dati. Il Sole 24 Ore, insieme all’economista della cultura Giovanna Segre dell’Università di Torino, ha confrontato le variazioni percentuali dei visitatori totali e paganti del 2016 sul 2015 e dei relativi introiti da biglietteria dei musei con più di 250mila visitatori, verificando anche il valore del biglietto medio.
Che cosa emerge? Si scopre che la Pinacoteca di Brera ha registrato un aumento degli introiti del 74,7% e dei visitatori del 6,45% con un prezzo medio di 8,5 euro, com’è possibile? Dal museo confermano tra riallestimenti di tutte le sale, nuovi percorsi nel laboratorio di restauro e nei depositi e iniziative varie il biglietto è stato portato da 6 a 10 euro. Presto spiegato l’incremento.
Castel Sant’Angelo, dopo Brera, registra l’incremento maggiore degli introiti e dal Sistan confermano che da luglio 2015 è stata introdotta la tariffa da 10 euro accanto a quella da 7 euro, tariffa eliminata nel 2016 per passare a 15 euro. Il Museo di Palazzo Ducale a Mantova ha visto forti miglioramenti, grazie anche ai riallestimenti dei nuovi percorsi e l’incremento del biglietto intero: da aprile 2015 da 6,50 è passato a 9 euro. Coerente la crescita degli introiti della Reggia di Caserta con l’aumento dei ticket interi staccati (biglietto unico da 12 euro per gli appartamenti storici, il parco e il giardino inglese) rispetto ai ridotti e gratuiti e l’aumento di spazi da visitare. Viceversa il Cenacolo Vinciano di Milano, pur in presenza di un calo degli ingressi totali e paganti ha tenuto gli incassi grazie a un biglietto che è passato da 6,50 a 10 euro. Il Museo archeologico nazionale di Napoli, che ha registrato una crescita organica d’ingressi e introiti, dal 1° ottobre 2016 ha rincarato il biglietto intero da 8 a 12 euro. Introti in miglioramento alla Galleria Borghese pur con un lieve incremento dei biglietti con tariffe intere salite da agosto 2016 da 9 a 13 euro. La Villa d’Este a Tivoli da giugno 2016 è passata da 8 a 11 euro per il biglietto intero.
«Quello che dalla lettura delle tre variabili disponibili (visitatori paganti, non paganti e introiti) si può vedere con semplici elaborazioni – spiega la professoressa Giovanna Segre – è che, oltre alle graduatorie dei più visitati, bisogna porre attenzione alle scelte di gestione dei musei per capire la dimensione economica, sociale e culturale che accompagna la vita di queste istituzioni. Questo può essere fatto solo raccogliendo dati e studiandoli, ma la cosa peggiore che possa capitare è quella di studiare le relazioni tra dati disomogenei, come a oggi sembra essere successo in maniera macroscopica nel caso della Reggia di Venaria che risulta aver avuto in un anno oltre 413mila visitatori paganti in più (partendo da quota 561mila). È evidente che non sono 413mila persone in più entrate alla Reggia. Non appena si fa una verifica, come quella del prezzo medio di circa 5 euro sulla base dei dati del Sistan finendo in 24esima posizione su 28, non tornano più i conti. Quello che stupisce è che nessuno abbia eccepito. Bisogna stare attenti a non indebolire l’importanza dei dati nel mondo della cultura, che forse, paradossalmente, è quello che ne ha più bisogno per non essere marginalizzato nelle scelte di politica economica».