Il Sole 24 Ore, 5 gennaio 2018
I colpi polacchi allo stato di diritto
Stato del diritto messo da parte. Cancellato con un colpo di spugna con leggi e proposte legislative che, dietro la maschera di una riforma del sistema giudiziario per migliorare l’efficienza della giustizia, in realtà trasformano un Paese membro dell’Unione europea, la Polonia, in uno Stato lontano anni luce dai valori fondanti dell’Unione. E la Commissione europea questa volta non ha chiuso gli occhi e ha reagito attivando, per la prima volta, la procedura fissata dall’articolo 7 del Trattato Ue, prevista nei casi di evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori dell’Unione.
La deriva e l’allontanamento dallo stato del diritto della Polonia sono iniziati tra il 2015 e il 2016 con le prime modifiche che hanno coinvolto in primis la Corte costituzionale e poi l’Ufficio della procura. A gennaio 2017, il nuovo round con il Governo polacco pronto a un piano su larga scala per la riforma del sistema giudiziario articolato in tre filoni: modifica dei tribunali ordinari, già in vigore, restyling del Consiglio nazionale della magistratura e cambiamenti nella legge che regola il funzionamento della Corte suprema. Le proteste delle organizzazioni non governative e di gran parte della magistratura hanno permesso alle organizzazioni internazionali e alla stessa Unione europea di accendere i riflettori.
Prima di tutto, non convince Bruxelles la proposta di legge di modifica del Consiglio nazionale della magistratura la cui attuale composizione è simile a quella italiana, con membri (la maggioranza) scelti tra pari, 6 dal Parlamento, 1 dal presidente della Repubblica e 3 componenti presenti ex officio. La modifica voluta dal Governo polacco, invece, di fatto, sposta tutto nelle mani della politica perché i 15 giudici prima scelti tra pari saranno indicati dalla Camera dei deputati, con maggioranza dei 3/5. Il mancato raggiungimento del quorum apre le porte a un iter che la Commissione Venezia del Consiglio d’Europa, che ha adottato l’8 dicembre 2017 un rapporto sulla situazione polacca nel quale ha messo nero su bianco critiche e preoccupazioni, definisce oscuro. Il risultato sarà un Consiglio della magistratura altamente politicizzato con l’assenza di membri eletti dagli stessi magistrati.
Non basta. Il progetto di legge di modifica della Corte suprema preoccupa ancora di più non solo per il rafforzamento della presenza di membri eletti dal Parlamento, ma anche per il brusco abbassamento dell’età della pensione con la conseguenza che molti giudici dovranno lasciare la carica, senza che sia previsto un controllo giurisdizionale sul provvedimento di sostanziale rimozione. Una riforma ad alto tasso di discrezionalità perché il presidente della Repubblica potrà decidere di lasciare in carica alcuni componenti anche oltre il termine fissato per il pensionamento. Un sistema molto simile a quello ungherese che ha già portato a una condanna della Corte di giustizia dell’Unione europea (causa C-286/12) e della Corte europea dei diritti dell’uomo (Baka contro Ungheria).
La riforma, inoltre, prevede la costituzione di due camere: una competente per i procedimenti disciplinari e un’altra per gli appelli straordinari anche in materia elettorale, in cui saranno presenti membri eletti dal Parlamento. Le due nuove camere speciali, poi, “marcheranno stretto” le altre tre camere competenti in materia civile, penale e di lavoro, con la possibilità, per quella per gli appelli straordinari di procedere alla revisione dei giudicati fino a 20 anni prima.
L’attribuzione, poi, al presidente della Repubblica di un potere sull’organizzazione interna mostra che il sistema giudiziario non solo non godrà di un’indipendenza dall’esterno, ma anche dall’interno. Troppo il potere affidato ai presidenti delle due nuove camere che potranno condizionare il lavoro dei magistrati attraverso la distribuzione delle risorse, l’attribuzione dei casi, il potere disciplinare. Una legalità apparente ma che, in realtà, segna l’abbandono della divisione tra poteri dello Stato e una grave minaccia all’indipendenza della magistratura. Netto il giudizio del relatore speciale delle Nazioni Unite sull’indipendenza di giudici e avvocati, García-Sayán: nel rapporto preliminare del 27 ottobre (quello finale è atteso per giugno 2018) ha scritto chiaramente che l’indipendenza del potere giudiziario e la separazione dei poteri sono minacciati dalle riforme decise dal Governo polacco. E questo anche con riferimento alla legge già in vigore sulla modifica dei tribunali ordinari. In questo caso, il potere è accentrato nelle mani del ministro della giustizia che ha un diritto di nomina e di rimozione dei presidenti e un ampio potere sanzionatorio.
È vero che prima di decidere il ministro deve effettuare consultazioni con il Consiglio nazionale della magistratura, ma la parola finale è del ministro. Senza dimenticare – osserva la Commissione Venezia – che a seguito della riforma del 2016 con al centro l’ufficio della procura, il ministro della Giustizia ha anche la carica di procuratore generale.