Avvenire, 4 gennaio 2018
Ridley Scott, la storia di Getty III è tutta da rigirare
Sarà probabilmente ricordato come il film che Ridley Scott ha dovuto in parte rigirare per sostituire in 22 scene Christopher Plummer a Kevin Spacey, l’attore nel frattempo travolto dallo scandalo delle molestie sessuali. Per il resto Tutti i soldi del mondo, che ricostruisce il rapimento di John Paul Getty III, nipote del magnate del petrolio, a Roma il 10 luglio 1973 per mano della ’ndrangheta calabrese, è un lavoro da dimenticare, e in fretta.
Il film, dicevamo, ripropone un fatto di cronaca divenuto un caso mediatico internazionale. Il giovane Paul viene rapito e i sequestratori chiedono 17 milioni di dollari per il riscatto. Una cifra iperbolica, certo, ma non per il nonno del ragazzo, l’uomo più ricco del mondo e probabilmente della storia dell’umanità sino a quel momento. Per il vecchio, che continua ad accumulare preziose opere d’arte, sono spiccioli, ma lui non ama separarsi dai suoi soldi e non è dunque disposto a pagare per la vita del nipote preferito, l’erede del suo impero. «Ho 14 nipoti – dice – se tirassi fuori un centesimo avrei 14 nipoti rapiti».
Così Gail, la madre del ragazzo, e l’uomo della sicurezza Fletcher Chace, cominciano una corsa contro il tempo per trovare il denaro, soprattutto dopo che i rapitori spediscono in una busta l’orecchio del giovane. Ispirato a fatti realmente accaduti, avvisano, e tratto dal romanzo di John Pearson, il film vorrebbe essere una riflessione sull’avidità umana e sul potere dei soldi che influenzano e controllano la vita delle persone. Vale la pena ricordare che Paul Getty III è morto nel 2011 all’età di 54 anni ed era da tempo malato, paralizzato e quasi cieco a causa di un ictus provocatogli da un’overdose a soli 24 anni. Il risultato invece è una modesta fiction dalla sceneggiatura sgangherata, inverosimile anche quando racconta eventi reali, e dove la mano del regista di Blade Runner e Alien è irriconoscibile. L’approssimativa ricostruzione delle vicende girate in Italia vanta tutti gli stereotipi sul nostro paese più amati dal cinema – dalle Vespe ai pararazzi, dalle chitarre alla malavita – molti passaggi narrativi sono vaghi se non addirittura incomprensibili così come appena abbozzati sono alcuni personaggi, tra cui quello del padre del rapito, tossicodipendente con gli occhi rigorosamente cerchiati di rosso e dall’aria inebetita, perduto in Marocco a drogarsi con Mick Jagger, come dice Gail in una scena del film. Imbarazzante poi il dialogo tra Chace e alcuni brigatisti rossi che suggeriscono l’idea di un rapimento organizzato dallo stesso Paul per spillare dei soldi al nonno taccagno, per non parlare delle forze dell’ordine, distratte e incompetenti, dipinte come in una barzelletta italiana sui carabinieri, e del fantasioso, rocambolesco epilogo del sequestro di Paul, fatto coincidere con la morte di zio Paperone, che nella realtà fu costretto ad abbandonare tutti i soldi del mondo due anni dopo. Il dialetto calabrese poi nella bocca dell’attore francese Romain Duris, doppiato e costretto a una gestualità che non gli appartiene, fa sobbalzare sulla sedia, mentre Plummer sembra lo Scrooge che abbiamo appena visto in Dickens – L’uomo che inventò il Natale. A salvarsi da questo autentico naufragio è Michelle Williams, sempre credibile nei panni della coraggiosa e risoluta Gail, che gioca le sue carte in maniera mai banale per salvare la vita del figlio rubatole e che nei suoi duri scontri con il suocero senza cuore ci regala gli unici momenti decenti del film.