Il Messaggero, 4 gennaio 2018
Iran, quei milioni per gli ayatollah che fanno infuriare i rivoltosi
Un sentimento comune sta riecheggiando in molte delle oltre 70 città iraniane scosse dalle proteste di questi giorni: l’avversione ai fasti finanziari di cui sembra godere l’elite laico-clericale della Repubblica islamica. Il 10 Dicembre scorso, il presidente Hassan Rohani ha pacamente svelato la legge finanziaria per l’anno persiano 1397, che inizia a fine marzo. Per la prima volta il decreto ha incluso una lista dettagliata di società, fondazioni e centri islamici che ricevono finanziamenti pubblici. Mentre si introduceva un rincaro dei carburanti fino al 50% e la mancata rivalutazione dei sussidi in contanti che lo Stato paga ai meno abbienti, l’Organizzazione per la Propagazione Islamica (un potente ente parastatale che perora la visione ufficiale dell’Islam nella sfera pubblica) si è visto assegnare un budget pari a 88 milioni di euro, con un aumento dell’11%. La Società al-Mosaffa, diretta da un falco celebre, l’ayatollah Nasser Makarem Shirazi, e dedicata alla formazione di chierici sciiti stranieri in Iran che richiama ben 50,000 studenti da 122 paesi diversi, è in procinto di ricevere quasi 62 milioni di euro, rispetto ai 55 dell’anno precedente.ENTITÀ CULTURALI
Parte dei fondi allocati a quelli che vengono generalmente chiamati entità culturali sono destinati a fondazioni più piccole dirette da personaggi di spicco del firmamento clericale. Hassan Khomeini, il nipote filo-riformista del fondatore della Repubblica islamica che in questi giorni ha tentato di calmare gli animi in prima persona tramite Twitter, si è visto assegnato quasi 15 milioni di euro. Dall’altra parte della barricata, l’eminenza grigia della primavera di Teheran di vent’anni fa, l’ayatollah Mesbah Yazdi, che durante la presidenza di Mohammad Khatami ha talvolta apertamente incitato alla violenza contro i riformisti, si è visto assegnare un appannaggio pari a 5,7 milioni di euro, per il suo centro di ricerca.
Tali spese sono state accostate, sui gruppi Telegram frequentati dai ceti medio-bassi, allo sfarzo ostentato su Instagram dai nouveaux riches laici, ma ritenuti in simbiosi con l’establishment clericale, di Teheran Nord, come controprova dell’esistenza di due Iran distinti: uno che vive di rendita e l’altro che non riesce quasi mai ad arrivare alla fine del mese.
Alcuni osservatori ritengono che la pubblicazione di queste spese culturali da parte di Rohani sia stato un tentativo di mettere a nudo lo spreco di risorse finanziarie pubbliche a beneficio dei suoi rivali conservatori. Un’operazione mal riuscita però: il presidente non ha finora accennato a una revisione di tali spese, allontanandosi così da quei dimostranti che aspirano a una finanziaria attenta alle proprie lamentele.