il Giornale, 4 gennaio 2018
Il club dei trilionari
«Con Facebook, Google e Amazon che catalizzano un numero sempre crescente di bulbi oculari sullo schermo, il settore tecnologico statunitense ha spopolato nella competizione del mercato delle azioni». Sono le parole di George Salmon, non a caso analista azionario presso la compagnia inglese Hargreaves Lansdown. Ma il pronostico che tira fuori dai denti è composto da cifre record, e riguarda il muro del trilione di dollari che i big data e i colossi del commercio on line si contendono negli ultimi anni. «Tuttavia incalza appunto Salmon è Apple, uno dei giganti più anziani della nuova tecnologia, a trovarsi in pole position per superare la barriera dei mille miliardi di dollari». Mille miliardi: sì, perché, nel mercato angloamericano, a tanto ammonta un trilione. Quel bottino che fino a oggi abbiamo ingrossato a colpi di click e, a quanto pare, proprio nutrendo il capostipite indiscusso di tutta questa tecnologia, ovvero i cari «vecchi» IPhone, IPpad, Mac e i loro compari, sfornati proprio da Apple. Una società che era sull’orlo della bancarotta nel 1997 quando il suo fondatore, Steve Jobs, ne riprese il timone: le sue azioni sono aumentate del 47% lo scorso anno.
Secondo il Guardian, i commentatori finanziari e gli investitori prevedono che il 2018 sfornerà il guinness del mercato azionario (il trilione di dollari o forse di più), se i prezzi delle azioni tecnologiche continueranno a salire con la stessa forza del 2017. Apple è in testa, dunque, con una valutazione di mercato di 869 miliardi di dollari. Proprio lei, l’azienda californiana che ha dettato legge in fatto di comunicazioni mobili, nuove fruizioni della musica e della fotografia già con l’iPhone nel 2007, e che oggi è in vantaggio di 140 miliardi di dollari rispetto a Alphabet (società sotto il cui ombrello prolifera Google). Se davvero i pronostici fossero calzanti, sarebbe la conferma che l’invenzione di un contenitore rivoluzionario incassa molto più delle sue derivazioni, imitazioni, e proposte alternative. «Contenitore» che, in effetti, in questi ultimi dieci anni è stato farcito di sostanze così capillari, virali, contagiose tanto da stravolgere le nostre vite. «Contenitore» che, prima di sfondare il muro del trilione, ha abbattuto le ritrosie degli scettici, degli allergici alla tecnologia, e ha sparigliato le carte dei rapporti umani. David Rolfe, funzionario di Wedgewood Partners, che gestisce fondi per 25 miliardi di dollari, ha dichiarato che «bisognerebbe tornare a Rockefeller e Standard Oil per trovare un’azienda così dominante e nel contempo così vasta».
E gli altri grandi nomi dell’e-commerce? Quando e come riusciranno ad arrampicarsi sulla stessa vetta? Per adesso, Microsoft è al terzo posto: ma alcuni analisti ritengono che Amazon, il colosso online di vendita al dettaglio, abbia ancora più probabilità di accaparrarsi lo scettro di prima società da un trilione di dollari. Perché mai? È quella che sta crescendo più rapidamente. Amazon, infatti, è la quarta società più proficua al mondo con una capitalizzazione di mercato di 566 miliardi. Facebook, che ha fluttuato sul mercato azionario meno di sei anni fa, è «solo» al quinto posto, ma le azioni nel social network sono aumentate del 56% nel 2017.
Ricette geniali dagli esiti controversi. Ricette il cui segreto, in fondo, siamo proprio noi: sempre più inghiottiti da un mondo fatto di vetrine, informazioni, opinioni, perfino persone, intangibile per definizione. Che ci sembra di conoscere e controllare perfettamente, forse, proprio per questo. E così funzionale che, di qui ai prossimi cinque anni, inghiottirà nella sua fondina almeno mille miliardi di dollari.