il Giornale, 4 gennaio 2018
La piazza debole e Rohani ridimensionato
Il vero potere siamo noi. E chi ne dubita lo sperimenterà sulla propria pelle. Sono i due cripto-messaggi nascosti nell’annuncio con cui il capo dei Pasdaran Mohammed Alì Jafari, capo supremo dei Pasdaran iraniani, ha messo fine alla protesta nata lo scorso 28 dicembre. Da quella dichiarazione emerge non solo la sconfitta – annunciata – dei dimostranti, ma anche il ridimensionamento del presidente Hassan Rohani trionfatore di due elezioni che lo hanno trasformato, agli occhi dell’Europa, nel simbolo del rinnovamento iraniano. Da oggi invece i Guardiani della Rivoluzione tornano a riappropriarsi del loro storico ruolo di demiurghi della Repubblica Islamica. E a guidarne i destini. A confermare quell’investitura e a cancellare quella conferita dal voto popolare a Rohani e al suo governo ci ha pensato innanzitutto la Suprema Guida Ali Khamenei. Denunciando le manovre dei nemici dell’Iran e affibbiando ai dimostranti l’etichetta di loro complici Khamenei ha, nei fatti, esautorato un Rohani pronto a difendere «il diritto a protestare». Conseguentemente la risoluzione del problema è passata nelle mani di quei Guardiani della Rivoluzione creati da Khomeini proprio per affrontare i nemici esterni della Repubblica Islamica. Dunque il risultato più significativo ad oggi non è la sconfitta, assai prevedibile di una protesta flebile, disorganizzata e priva di leadership, ma il concreto ridimensionamento di Rohani e dell’esecutivo riformista. Con una consumata abilità i poteri forti iraniani hanno utilizzato i dimostranti e il loro sostenitori. Lasciando divampare una protesta economica – nata non a caso a Mashaad, città simbolo del potere conservatore si sono garantiti un doppio risultato. Da una parte hanno fatto venire allo scoperto i veri nemici del regime legati non tanto al movimento riformista, ma ai gruppi anti-sistema pronti a sovvertire l’ordine interno del paese. Dall’altra hanno dimostrato l’incapacità di Rohani e del movimento riformista di soddisfare le speranze popolari. In questo modo hanno cancellato il risultato del voto presidenziale e ripreso in mano il controllo del paese. Perché l’hanno fatto? Per capirlo bisogna guardare non alla situazione interna del paese, ma a quella esterna. L’alleanza dell’America di Trump con l’Arabia Saudita e Israele preoccupa non poco i poteri forti che in tempi di scontro preferiscono affidarsi non a un movimento riformista scollegato dall’apparato militare industriale, ma a uomini di comprovata fiducia. Dunque chi guardava alla protesta come ad un segno di debolezza del regime farà meglio a ricredersi. Quell’illusoria protesta si rivela nei fatti uno strumento nelle mani della vecchia guardia, pronta da oggi a riprendere in mano i destini del Paese. E a difendere con tutti i mezzi i vantaggi politico-territoriali conquistati in Siria, Iraq e Libano.