il Giornale, 4 gennaio 2018
Lavoro, il 2018 parte in salita con la disoccupazione all’11%
Roma Silvio Berlusconi propone l’azzeramento triennale dei contributi previdenziali per i contratti di apprendistato o per chi assume per la prima volta un giovane. Il candidato premier di LeU, Pietro Grasso, immagina un welfare più forte finanziato da una riforma fiscale (cioè da qualche nuova patrimoniale). Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha messo al centro del discorso di fine anno proprio il tema del lavoro.
E con le elezioni alle porte non è difficile pronosticare che anche nel 2018 il «lavoro» sarà uno dei temi ricorrenti. Ecco perché bisogna capire quale sia il punto di partenza per cercare di comprendere che tipo di futuro ci si prefigura. L’anno appena concluso dovrebbe aver visto una diminuzione del tasso di disoccupazione poco sopra l’11 per cento. Secondo l’Istat, sono poco più di 23 milioni gli occupati tra i 15 e i 64 anni di età. Il numero, per quanto elevato, preoccupa: il tasso di occupazione è tra i più bassi d’Europa e si attesta poco sopra il 57% a fronte di una media europea del 65 per cento. Da tutto questo si origina pure il raddoppiamento dei poveri in Italia: nel decennio 2006-2016 sono passati, spiega l’istituto di statistica, da quota 2,3 milioni a 4,7 milioni con un incremento del 106,9%.
Con i primi sgravi al 100% del Jobs Act già esauriti e con la decontribuzione al 50% per gli under 30 (solo nel 2018 varrà anche per gli under 35) in vigore dal primo gennaio, non bisogna aspettarsi grandi cambiamenti. Tant’è vero che il governo Gentiloni stima un modesto incremento occupazionale nel 2018 con un calo dei senza lavoro al 10,8 per cento.
Questa lenta progressione, che riflette la dinamica non proprio esaltante del Pil, si spiega anche con il sostanziale flop dei percorsi di avvicinamento al mondo del lavoro. Ad esempio, guardando al programma Garanzia Giovani, sui 376.178 ragazzi che al 30 giugno 2017 avevano concluso un percorso (anche in questo caso finanziato con una decontribuzione grazie ai fondi europei) meno del 46% risultava occupato. Anche perché, come molto spesso lamentato dalla Fondazione Adapt, si tratta di offerte di lavoro che si sostanziano in un tirocinio. Non meraviglia pertanto che il numero di giovani tra 15 e 29 anni che né studiano né lavorano sia a quota 2,3 milioni, un quarto del totale.
La prima responsabile non può non che essere la scuola, l’ambiente che più di tutti ha manifestato sgradimento per i percorsi di alternanza con il mondo del lavoro. sul banco degli imputati c’è anche l’Anpal, l’agenzia nazionale per l’impiego che doveva essere il secondo fulcro del Jobs Act di Renzi e che finora ha raccolto risultati modesti legati anche alla sua tardiva entrata in funzione con le Regioni che hanno mantenuto pressoché tutte le competenze su questa materia. La riforma Fornero, che dall’anno prossimo tratterà gli italiani al lavoro fino a 67 anni, ha fatto il resto.
Questa evoluzione, però, non è sufficiente a spiegare il mancato recupero delle ore lavorate. Nel primo semestre 2017 sono state 21,7 miliardi a fronte dei 22,8 miliardi dell’analogo periodo del 2008, prima che la grande crisi esplodesse. Questa decrescita non si spiega solo con i contratti a tempo determinato. Le cause sono più complesse e vanno dalla mai recuperata flessione della produttività manifatturiera (le industrie soffrono pressione fiscale e mancanza di profili qualificati) fino all’abolizione dei voucher che hanno portato il nero a proliferare di nuovo.