la Repubblica, 4 gennaio 2018
Dalle giostre alle bustine da tè l’Italia che va
ROMA Inguaribili pessimisti, anche quando l’evidenza dice il contrario. Gli italiani del cinismo hanno fatto un’arte elevandola a sottile forma di autodistruzione, almeno stando alle analisi della Ipsos, specializzata in ricerca di mercato, e ai dati raccolti dalla fondazione Symbola. Secondo la prima, nel rapporto Perils of Perception (i pericoli della percezione), ce la caviamo bene nel commettere errori grossolani valutando il nostro Paese. Fra Stati Uniti, Nuova Zelanda, Francia, Corea, Giappone, su trentotto nazioni siamo al dodicesimo posto nel sottostimare. Primi europei nella classifica guidata dal Sudafrica – veniamo subito dopo Argentina e Arabia Saudita – e chiusa dalla Svezia, dove il senso della realtà è più forte.
«Un vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre ma avere nuovi occhi, scriveva Marcel Proust». Ad Ermete Realacci ambientalista, politico e presidente della fondazione Symbola, le citazioni piacciono.
Soprattutto se servono per sottolineare i primati italiani che nessuno ricorda perché, come spiega l’Ipsos, in Europa non ci batte nessuno nel veder nero.
«Debito pubblico alle stelle, malavita, burocrazia, diseguaglianza. Certo, l’Italia è anche questo», prosegue Realacci. «Ma ha pure enormi talenti e si batte bene in diversi campi. Per questo abbiamo “scattato” dieci selfie dell’Italia che funziona». Secondo il Trade Performance Index dell’Organizzazione mondiale del commercio, ad esempio, noi siamo al secondo posto per competitività dei settori produttivi. Non si tratta di un valore solo quantitativo ma soprattutto qualitativo della nostra manifattura e delle esportazioni. Preceduti dalla Germania, siamo avanti alla Cina. E ancora: la nostra industria farmaceutica nel periodo fra il 2010 e il 2016, ha visto una crescita dell’export del 52 per cento, più della media dell’Europa a 28 che si attesta attorno ai 32 punti percentuali; nella produzione di macchinari industriali siamo fra i primi quattro dopo Germania, Cina e Giappone; il design da noi è settore strategico e solo l’Inghilterra ci batte per incidenza del fatturato proveniente da questo settore sul totale dell’economia; regniamo sovrani in Europa nell’esportazione del legno per mobili e arredo e la nostra agricoltura è quella che inquina meno, così come la produzione industriale è la più efficiente dal punto di vista energetico. Senza dimenticare la moda – la nostra quota di mercato è seconda solo a quella della Cina – e la filiera della cultura che nel suo complesso genera 250 miliardi di euro, il 16 per cento del prodotto interno lordo.
«Nun ce se crede», avrebbe detto il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. «E invece bisogna crederci», spiega Giuliano Noci, responsabile scientifico dell’Osservatorio Export del Politecnico di Milano. «La sottostima è un nostro tratto.
Siamo ai vertici in fatto di competitività nelle esportazioni e se puntassimo di più sul digitale e fossimo in grado di fare sistema, di far crescere le nostre aziende, saremmo i primi in assoluto. Ne sono assolutamente convinto. Il problema, per molti versi, siamo noi. Tanti manager qui gettano la spugna e nemmeno provano a fare il salto di qualità. Non a caso il nostro è un tessuto produttivo vivace ma frazionato che non difende o non fa fruttare le proprie idee. Pensi al panettone Cova: a farne fenomeno internazionale è stato il gruppo Louis Vuitton che lo ha comprato nel 2013».
James Stannard, del Social Research Institute di Ipsos, uno dei due autori della ricerca Perils of Perception, la mette sullo psicologico. «È provato che le notizie brutte e in generale il pessimismo, abbiamo più spazio. Tendiamo in modo naturale a sovrastimare quel che ci preoccupa e i media in genere non aiutano facendo leva proprio su questo aspetto. Le informazioni positive e negative hanno effetti differenti per ragioni evolutive: sono le tracce del saper reagire velocemente ai pericoli». Si tira in ballo lo psicologo e neuroscienziato John T. Cacioppo, professore dell’Università di Chicago. Ha dimostrato che l’incremento di attività elettrica nel cervello prodotto dalla visione di immagini a forte contenuto negativo è molto più elevata. «Ma certo, voi italiani eccellete nell’esagerare», conclude Stannard. Basti pensare al dato sugli omicidi dal 2000 ad oggi.
Sono calati del 39 per cento, ma per un italiano su due la percezione è esattamente inversa. Solo un intervistato su cinque (19 per cento) stima correttamente che i morti per terrorismo sono scesi – e non di poco – nei quindici anni trascorsi dall’attacco alle Torri Gemelle rispetto al periodo che lo ha preceduto. Per due terzi la situazione è invece addirittura peggiorata. E la cosa vale anche per la nostra economia. «Se fossimo ciò che siamo capaci di fare, rimarremmo letteralmente sbalorditi». Stavolta la citazione è a Thomas Edison, uno che sul tema del fare aveva le idee chiare avendo brevettato la lampadina elettrica. E per Realacci quella frase ci calza a pennello. «Ma lei lo sa che l’80 per cento delle buste da tè sono fatte in Italia? O che siamo i migliori al mondo nella produzione delle giostre?
Le usano tutti, dai bambini americani a quelli cinesi. Le fanno fra il Veneto e il sud dell’Emilia e sono più leggere e consumano meno di quello tedesche». Che in Italia la manifattura non sia un semplice hobby in realtà è noto a tutti, solo che poi preferiamo continuare a rimestare nelle paure aiutati dalla una parte della politica, in genere quella che in quel momento è all’opposizione. Ma su questo almeno siamo in buona compagnia e non solo in Europa.