La Stampa, 4 gennaio 2018
Hennessy, quel cognac fatto come due secoli fa
Si ritrovano in questa stanza, dove il tempo è sospeso. Mobilio bianco immacolato espone flaconi dal colore ambrato cangiante. Da gustare. «Ogni giorno, alle undici precise, perché a quell’ora i sensi sono svegli al punto giusto: si comincia ad avere fame, il momento migliore», ricorda Renaud Fillioux de Gironde, 39 anni, fisico imponente e sguardo concentrato. Perché qui non stiamo scherzando: Renaud è il «maestro miscelatore» di Hennessy, leader mondiale del cognac. Ogni anno assaggia 10 mila campioni di acquavite. Il bicchierino scivola via tra le sue mani e quelle di altri sei degustatori. «Non siamo sommelier. Non dobbiamo memorizzare i millesimi, ma giudicare di volta in volta se continuare sulla strada della maturazione o se inserire l’acquavite in un assemblaggio». Attenti alla «costanza e continuità del prodotto».
Perché il cognac resti sempre il cognac. La memoria storica in questo lavoro è fondamentale: Renaud, che è diventato «maitre assembleur» pochi mesi fa, rappresenta l’ottava generazione della sua famiglia in questo ruolo (il primo fu Jean Fillioux, scelto nel 1802 da James Hennessy). Ha trascorso una decina d’anni al fianco dello zio Yann Fillioux, per carpirne i segreti. Un tempo alla stanza del «comitato di degustazione» non poteva accedere nessuno. Ma Hennessy, ormai, si è convertita al turismo e vengono da tutto il mondo per visitarla. E a parlare (e bere qualche campione) con uno dei membri del comitato. Ma non Renaud, per carità, inavvicinabile e misterioso.
Siamo al numero uno di rue de Richonne, a due passi dalla Charente, fiume romantico, che scorre pigro verso l’Atlantico. Taglia in due Cognac, cittadina a un centinaio di km a Nord di Bordeaux, rilassante e anacronistico rifugio da vecchia borghesia francese, nel cuore di una regione dai rilievi appena accennati, le case bianche e grigio-chiare, i colori che spiccano all’improvviso. A Cognac si alternano dimore medievali a graticcio, con le travi che affiorano sulle facciate. E poi edifici neoclassici o lo stile liberty del mercato coperto. C’è anche questa cantina in pietra, rame, legno e vetro, disegnata per Hennessy a metà Anni 90 dall’architetto Jean-Michel Wilmotte. Ma per ripercorrere la storia della maison si deve camminare al di là della Charente e penetrare in un’altra cantina, stavolta antica, la Faciencerie. Lì si scopre la storia di un nobile irlandese, Richard Hennessy, che approdò in Francia a soli vent’anni, al servizio di Luigi XV, per combattere gli odiati inglesi. E che, una volta deposte le armi, venne qui e iniziò, 250 anni fa, a produrre cognac.
A un certo momento si entra in un luogo magico, «la cantina del fondatore». Nella penombra si conservano i fusti di rovere con le acquaviti più antiche (ce ne sono dell’anno 1800). Ancora oggi le scritte sono vergate sulle barrique da calligrafi specializzati. Il cognac deriva dal vino bianco di una zona molto ridotta, intorno a Cognac, distillato dai contadini a fuoco diretto con gli alambicchi. Le acquaviti così ottenute sono fornite a Hennessy e alle altre maison, che le conservano nei barili minimo due anni: lì assumono il particolare colore ambrato. Dal loro mix derivano le diverse qualità di cognac, già codificate secondo l’invecchiamento più o meno pronunciato. E sta a Renaud Fillioux de Gironde e ai suoi compari individuare l’assemblaggio giusto per recuperare ogni volta lo stesso gusto. Intanto, l’approccio al cognac è cambiato, soprattutto lontano dall’Europa (in Francia c’è chi ancora lo considera il liquore della nonna): con il ghiaccio per accompagnare i cibi in Asia o in combinazioni originali per gli aperitivi dei giovani di Los Angeles.
Dal 1987 Hennessy è entrata nel girone di Lvmh, il colosso del lusso di Bernard Arnault (la «h» si riferisce proprio alla maison). Nel 2016 ha venduto 83,8 milioni di bottiglie (il 53% negli Usa e il 25% in Asia, senza considerare il Giappone). Nelle scorse settimane è stato Arnault in persona a inaugurare a Salles-d’Angles, una manciata di chilometri da Cognac, un nuovo stabilimento per l’imbottiglialmento e la logistica. Opera dell’architetto Jean-Marc-Sandrolini, la fabbrica è una struttura ultramoderna, vetro e metallo nero. Che si apre sulle vigne e sul cielo.