Corriere della Sera, 4 gennaio 2018
Gli strani duellanti che non si odiano
Chi si è detto pronto a far sprofondare il Paese dell’altro in «ceneri e oscurità»? E chi ha prospettato all’avversario la «distruzione totale con fuoco e furia»? Kim Jong-un ha lanciato la prima minaccia, Donald Trump la seconda. Solo sfumature distinguono il linguaggio usato dal capo del regime nordcoreano da quello del presidente degli Stati Uniti. Da tempo i politologi segnalano che Trump sembra dominato da una pulsione irrefrenabile a deridere e attaccare a parole «Little Rocket Man», il Piccolo Uomo Razzo (discorso di settembre dalla tribuna dell’Assemblea Onu e poi numerosi tweet). I consiglieri della Casa Bianca hanno cercato di dissuaderlo, ma @realDonaldTrump non desiste, nessuno può togliergli di mano lo smartphone e chiudergli l’account su Twitter.
«Un errore, perché cercare di surclassare Kim nel gioco delle minacce a parole è come avere la presunzione di pregare più del Papa», ha detto John Delury, professore della Yonsei a Seul, uno dei massimi esperti di questioni coreane. In effetti, il Maresciallo di Pyongyang reagì al paragone ingiurioso del Rocket Man, per giunta piccolo, definendo l’uomo della Casa Bianca «un gangster mentalmente disturbato e rimbambito, un vecchio lunatico». Nella versione inglese messa a punto dalla propaganda nordcoreana, diretta dalla sorella minore di Kim, l’epiteto «rimbecillito» fu tradotto in «dotard», termine da glottologi che risale al XIV secolo e fu usato da Shakespeare. Subito l’hashtag #dotard corse su Twitter, aggiungendo un tocco di farsa a una tragedia in divenire. Ai duellanti piace dare spettacolo.
Ora che Trump si è spinto con un’allusione infantile e piuttosto volgare nel campo di chi ce l’ha più grosso, potente e funzionante (il bottone delle armi nucleari), i commentatori di Washington lo criticano per aver degradato una crisi internazionale, potenzialmente devastante, a una lite da cortile di asilo infantile e per aver elevato al rango di interlocutore diretto degli Stati Uniti un dittatore come Kim, che guida un Paese in rovina sfruttando il ricatto nucleare. In passato Barack Obama si era fatto dare della «scimmia» da Kim senza abbassarsi a rispondere (è pur vero che mentre Obama usava «pazienza strategica», Kim sviluppava impunemente i missili nucleari).
Nel discorso di Capodanno con il quale ha inaugurato la gara del bottone nucleare, sostenendo di averlo sulla scrivania, Kim secondo alcuni osservatori ha cercato di copiare il nemico americano indossando un vestito da uomo d’affari, aggiornando lo stile rispetto alle giacche con colletto alla Mao e ai cappottoni con colbacco. Sarebbe un altro espediente consigliato dalla sorella Kim addetta alla cura dell’immagine, per sostenere la sfida diretta con il leader americano.
Fin dai tempi del nonno-fondatore Kim Il Sung, la dinastia di Pyongyang ha sollecitato un’adorazione religiosa da parte del popolo. E così, quando Trump dileggia pubblicamente Kim, dicendogli «basso e grasso», può anche puntare a demoralizzare la nomenklatura nordcoreana, mostrando quanto poco sia considerato nel mondo il capo «divino».
Però Trump, in interviste e discorsi pubblici, ha rivelato di non escludere un incontro con Kim. Ha confidato anche di avere una certa ammirazione per «quel ragazzo sveglio che è stato capace di mettere in riga i vecchi gerarchi che lo volevano sostituire». Kim Jong-un ereditò il potere dal padre nel 2011, a 27 anni, più o meno la stessa età che aveva Donald quando prese in mano il business di famiglia. Per inciso, il «ragazzo sveglio» ha fatto fucilare lo zio e ha ordinato l’eliminazione o l’arresto di almeno un paio di centinaia di dignitari che gli facevano ombra.
E qui, secondo i politologi, viene un’altra similitudine tra i due: la mancanza di figure davvero influenti al loro fianco, capaci di aiutarli ad autocontrollarsi. Il consigliere per la sicurezza nazionale, H.R. McMaster, ha ammesso che «non c’è nessuno alla Casa Bianca in grado di frenare il presidente».
Una differenza di strategia. Trump si ispira alla «teoria del pazzo» elaborata da Nixon: vuol far credere agli avversari di essere pronto a tutto, anche mosse disperate. Kim si sforza di farsi percepire come perfettamente lucido e determinato. Anche la satira mette a confronto la «strana coppia»: a partire dal taglio dei capelli. Kim ha una sfumatura estrema sulle tempie che fa assomigliare la sua testa a un fungo nucleare; il riporto di Trump tendente al giallo-arancione, ha fatto sospettare un parrucchino (smentito dal presidente che si è detto disposto a farsi tirare il ciuffo).
Ultima somiglianza. Finora almeno, i due hanno promesso fuoco e cenere senza mantenere. E Trump non ha un «bottone nucleare» sulla scrivania: perché, come spiegano gli esperti militari, non esiste un pulsante per il lancio, ma si dovrebbe usare un sistema elaborato di codici e schede identificative.