La Stampa, 4 gennaio 2018
Riparte il dialogo tra le Coree. La mossa di Kim per isolare gli Usa
Nella penisola coreana il clima sembra farsi più disteso. Le prove di dialogo tra Nord e Sud, inaugurate con la mano tesa da parte di Kim Jong-un nel suo discorso di Capodanno, hanno avuto seguito ieri con la riapertura da parte del regime della «hotline» tra Seul e Pyongyang. Si tratta del «telefono rosso» che ha rappresentato per tempo l’unico canale diretto di comunicazione tra Sud e Nord e che era stato disconnesso anni fa. Due funzionari dei rispettivi Paesi hanno avuto occasione di «effettuare prove tecniche congiunte» sul ritorno alla piena operatività della «hotline» che si trova nella cittadina di Panmunjom, sul 38° parallelo, nella zona demilitarizzata. La stessa cittadina dove si incontreranno le delegazioni dei due Paesi il prossimo martedì per discutere sulla partecipazione di Pyongyang alle olimpiadi invernali di PyeongChang, che si apriranno il prossimo 9 febbraio.
Seul ha accolto positivamente l’annuncio di Pyongyang, definendo la mossa come la base del dialogo diretto e frequente tra le due Coree. E anche la Cina ha espresso apprezzamento: «L’auspicio è che le parti possano incontrarsi a metà strada», ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang, per il quale le parti preoccupate sulle vicende della penisola dovrebbero sostenere e «cogliere la positiva piega degli eventi». Decisamente meno disteso è il clima tra il giovane leader e Donald Trump impegnati in una gara al «bottone più grosso». Il presidente americano, dinanzi alla provocazione di inizio anno del dittatore nordcoreano sul pulsante delle armi atomiche a portata di mano, avverte che il bottone nucleare c’è l’ha anche lui. «Qualcuno di questo regime esaurito e alla fame lo informi che anch’io ho il pulsante nucleare, ma è molto più grande e più potente del suo. E il mio funziona», ha scritto su Twitter il Commander in Chief. Toni assai diversi quelli a cui ricorre Kim in questo inizio 2018 ma che potrebbero celare una strategia ben precisa. Fa riflettere quanto spiegato da Ri Jong Ho, omonimo del ministro degli Esteri di Pyongyang, ma in realtà ex dirigente del regime nordcoreano, tra gli eletti del cerchio magico del giovane leader, fuggito al Sud e poi a Washington in seguito a una delle ultime epurazioni del regime. Il suo ultimo incarico prima della fuga era a capo della Korea Daehung Trading Corporation, che fa capo al famigerato Ufficio 39, l’organizzazione clandestina gestita dalla famiglia Kim che ha due compiti: rafforzare le riserve di valuta pregiata e assicurare la lealtà a Kim. In virtù dell’esperienza maturata accanto alla leadership dittatoriale Ri racconta che il nemico numero uno di Pyongyang è sempre stata per la Corea del Sud rea – secondo il regime – di aver usurpato al Nord la supremazia e la ricchezza che un tempo aveva. «Gli Usa sono sempre venuti dopo». Il cambio di passo è pertanto da considerarsi davvero «rivoluzionario», o una tattica precisa. «Il giovane leader è forte del sostegno dalla Russia che oggi più che mai fornisce petrolio al regime», dice il dissidente. E con tale garanzia Kim punterebbe ad aprire un canale di dialogo bilaterale con il Sud, con l’obiettivo ultimo di creare una distanza dagli Usa e indebolire il fronte avversario.