La Stampa, 4 gennaio 2018
L’accelerata dei Comuni sulla tassa di soggiorno. Tesoretto da 650 milioni
La corsa ai rincari è iniziata un attimo dopo che il governo a metà 2017 ha tolto il divieto, ma il grosso degli aumenti è scattato lunedì scorso. Dopo due anni di blocco da quest’anno saranno così 100 in più i Comuni italiani dove i turisti dovranno pagare la tassa di soggiorno. Quello dell’imposta sui turisti, rimasta congelata per due anni come tutte le altre imposte locali, e unica gabella a essere poi scongelata, è infatti un vera manna per le casse di tante amministrazioni locali, una specie di «bancomat dei comuni» denunciano gli albergatori. Solo l’anno passato ha prodotto oltre 460 milioni di euro di gettito destinati a diventare più di 500 quest’anno se non addirittura a 650 grazie agli accordi con Airbnb e le altre piattaforme a loro volta sottoposte sempre da quest’anno a questo prelievo.
Addio zone No tax
Molti Comuni che ancora non avevano introdotto l’imposta di soggiorno hanno rimediato di corsa e nei prossimi mesi anche loro passeranno all’incasso. Chi invece l’aveva già fatto in passato ha colto l’occasione per aumentarla. Le prime città a muoversi già lo scorso luglio sono state Atrani e Bolsena, poi è arrivata Agrigento. A seguire molte località di montagna, da Cortina ad Alleghe, da Selva di Cadore ad Asiago, intenzionate a cogliere subito i frutti della stagione invernale.
Negli ultimi sei mesi del 2017 sono stati 22 i comuni che hanno adottato l’imposta di soggiorno, segnala il Centro ricerche Jfc, mentre solo una l’ha cancellata (Lodi). A questi si aggiungono altri 35 Comuni che hanno approvato i nuovi regolamenti sul finire dell’anno. E così dal 1 gennaio anche chi sceglie di soggiornare ad Asti, Piacenza, Mantova, San Pellegrino Terme, Arezzo, Assisi, Todi, Capaccio Paestum, Pompei e Realmonte dovrà pagare. E lo stesso dovranno fare nei prossimi mesi chi sceglierà Portofino, Rapallo, Santa Margherita Ligure, Zoagli, Ventimiglia e Sestri Levante, oppure Bellano, Sirolo Jesi, Volterra, Villaputzu e Cupra Marittima. A Cervia e Milano Marittima, solo per citare una delle poche zone a forte vocazione turistica rimasta finora zona «No tax», l’imposta di soggiorno scatterà invece ad aprile, con gli stessi importi di Rimini e Riccione. L’Osservatorio nazionale sulla tassa di soggiorno di JFC segnala poi che in altri 102 comuni la discussione è in corso pre cui ogni giorno la lista si allunga. Occhi puntati soprattutto su Liguria, Sardegna e Friuli Venezia Giulia, ultima Regione in ordine di tempo ad introdurre la tassa sui turisti.
Il risultato finale è che dai 13 Comuni che per primi nel 2011 hanno adottato l’imposta di soggiorno (apripista Roma che applicando la tassa più alta d’Europa cercava di tappare i buchi di bilancio) si è passati ai 377 del 2012 e quindi ai 724 del 2015. Finito il blocco, l’anno passato, è stata toccata quota 746 con la previsione di arrivare quest’anno addirittura a 845 tra città d’arte e comuni turistici. Sui 460 milioni raccolti nel 2016 ben 126 sono finiti a Roma capitale, a seguire Milano (41,4 milioni nel 2016), Firenze (30), Venezia (29), Rimini (7), Torino (6,25), Napoli (5,9) e Bologna (5,5).
Ondata di rincari
Anche i rincari già varati o annunciati, subito contestati dalle associazioni degli albergatori, non sono da meno. Nell’Italia dei mille campanili, in assenza di una normativa nazionale, ognuno si muove come meglio crede e ogni città impone tariffe, periodi di applicazione (dall’intero anno sino a pochi mesi) ed esenzioni (minori, accompagnatori, anziani, ecc...) differenti. La legge infatti fissa solo un importo minimo (10 centesimi) e un tetto massimo di 5 euro a persona per notte (7 euro a Roma nei 5 stelle dove il limite massimo è fissato a quota 10). E così a Firenze, da quest’anno, il prelievo cresce di 50 centesimi per gli alberghi da 1 a 3 stelle, di 30 per quelli a 4 stelle e raddoppia da 1,50 a 3 euro per affittacamere ed Airbnb. A Venezia invece rincarano solo le imposte a carico dell’utenza delle strutture extra-alberghiere dove da 1euro e 50 si passa a 2-5 euro. A Riccione aumenti del 20-30%: da 0,30 euro per i 3 stelle fino a un euro in più per i 5 stelle. In Trentino 50 centesimi in più per tutte le tipologie di alberghi a San Martino di Castrozza, Primiero e Vanoi. Sull’isola di Ischia 5 Comuni su 6 hanno invece uniformato l’imposta estendendola a tutto l’anno. A Matera aumenti del 100% con gli hotel a 4 e 5 stelle che passano da 2 a 4 euro, mentre B&b e case vacanze salgono a 1 a 2 euro. Tasse raddoppiate sugli alberghi di lusso (4 euro per i 5 stelle) e a scalare per gli altri anche a Jesolo: a poco sono valse le proteste dei vertici delle associazioni albergatori che prima di Natale si sono dimessi in blocco dai loro incarichi e ora a Bibione e Caorle si preparano a fare altrettanto. Olbia invece ha rimodulato le sue tariffe: i 4 stelle son scesi da 3 euro a 2,50 mentre i B&b passano da 2,30 a 2,50 e i 5 stelle salgono a 4. Scelte inevitabili? A detta di molti amministratori locali pare di sì. «L’imposta di soggiorno – spiega Massimo Feruzzi, amministratore unico di Jfc – rimane per molti Comuni un’importante fonte di entrate, di fatto l’unica imposta che possono ancora manovrare. Nel 2018 si supereranno infatti i 504 milioni di gettito che potrebbero diventare 656 se si trovasse un accordo governativo con le piattaforme di home tourism».
Proteste e polemiche
Dal Veneto alla Campania, dall’Umbria alla Puglia le associazioni degli albergatori masticano amaro. «Appena è stato tolto il blocco i comuni hanno dato libero sfogo alle loro esigenze di far cassa» spiega il direttore generale di Federalberghi Alessandro Nucara, secondo il quale «pagare le tasse è un dovere civico, ma un maggiore coinvolgimento degli operatori nella fase delle decisioni aiuterebbe. E poi ci deve essere un ritorno effettivo a favore dei servizi turistici offerti ai clienti, altrimenti è troppo facile dare una legnata in testa al turista perché tanto non vota nel Comune dove va in vacanza».