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 2018  gennaio 02 Martedì calendario

I due nordcoreani che andranno alle Olimpiadi

Come accadde nel ‘72 tra Stati Uniti e Cina con il ping-pong, per la pace si gioca la carta dello sport A patto che il dittatore decida di portare la sua squadra ai Giochi invernali in Corea del Sud KYODO AP Sarà un balletto sul ghiaccio a scongelare la tensione nucleare. Dalla diplomazia del ping-pong a quella delle lame. Il 2018 dello sport inizia con botti felici: Kim Jong-un, leader della Corea del Nord dichiara di voler partecipare ai Giochi Olimpici invernali che si terranno il prossimo mese a PyeongChang, Corea del Sud. «Sono una buona occasione per il Paese e speriamo sinceramente che siano un successo». Sì e sono solo a 80 chilometri di distanza. Ha inoltre aggiunto di essere disponibile al dialogo e pronto a intraprendere diversi passi: «Compreso l’invio di una delegazione». È il primo annuncio ufficiale di un’apertura dopo i venti di guerra (soprattutto con gli Usa) e dopo la minaccia di continuare a fare test nucleari mentre nel sud il mondo si è dato appuntamento per gareggiare sulla neve. La Corea del Nord non è una grande potenza a livello sportivo, la sua decisione di uscire dall’isolamento, dopo il boicottaggio ai Giochi di Seul nel 1988, è segno che ha capito che lo sport può essere un’arma fenomenale, molto più dei razzi da guerra. C’è solo una coppia di pattinaggio artistico nordcoerana ad essersi qualificata per i Giochi. Lei si chiama Ryom Tae-ok ha 18 anni e lui Kim Ju-sik, 25, un mese fa a Oberstdorf in Germania si sono guadagnati sul campo il pass olimpico, ma purtroppo non risultano iscritti, perché il loro Paese non ha provveduto a mandare in tempo i loro nomi. L’apertura di Kim Jong-un lascia capire che si stanno studiando forme (wild card) per permettere alla Corea del Nord di gareggiare in quella del Sud, Paese con il quale non intrattiene rapporti. Può una simpatica coppia che balla sul ghiaccio e che la scorsa estate si è allenata a Montreal con Bruno Marcotte, conosciuto coach franco-canadese, riportare un po’ di serenità nel mondo reale e anche in quello olimpico che ha sempre pagato i conflitti internazionali in maniera pesante, soprattutto sulla pelle dei suoi atleti? Forse sì, forse è destino che in Asia lo sport sia un concorrente ben accetto e applaudito, anche se proviene da un Paese nemico. Forse Ryom e Kim imiteranno due ragazzi che 47 anni fa sognarono la fine della guerra. Ci volle molta fantasia, perché i loro due Paesi non si parlavano. Il primo era capellone, americano e «capitalista», il secondo era rapato, cinese e «comunista». I due ragazzi giocarono a ping-pong e vinse la pace. Era il ‘71. Nixon e Mao erano nemici, Usa e Cina non avevano relazioni, c’era il Vietnam e la rivoluzione culturale. Tutto avvenne per caso. A Nagoya in Giappone nel ’71 ai mondiali di tennistavolo Glenn Cowan, 19 anni, perse il suo autobus e s’infilò in quello dei cinesi che lo guardarono storto. Lui si mise a ridere «Lo so che vi sembro strano, ma in America molti ragazzi hanno i capelli lunghi come me». Zhuang Zedong, 30 anni, tre titoli mondiali, chiese l’aiuto dell’interprete e si fece avanti. I compagni cercarono di fermarlo: «Non si può, è uno straniero». Zhuang ricordò: «L’americano mi sorrise, decisi di fargli un regalo, guardai nella mia sacca e tirai fuori un centrino di seta della città di Hangzhou». Cowan cercò di ricambiare, ma nella tasche non aveva nulla, così gli augurò buona fortuna. I due ragazzi scesero insieme dal pullmino. Com’era possibile? Un fotografo giapponese scattò. Finirono in prima pagina. Zhuang venne sgridato dai dirigenti. Cowan si mise una maglia con la bandiera Usa e la scritta «Let it be». Allo stadio la diede a Zhuang. Qualcuno chiese all’americano se pensava di visitare la Cina. «Perché no?» fu la risposta. L’idea non piacque ai dirigenti cinesi, Zhou Enlai la girò a Mao, che la inoltrò al ministro degli Esteri. La sera dopo Mao andò a letto con un fascio di documenti, tra i quali anche la storia dei due ragazzi, che lo appassionò. Fece chiamare il ministro. Era il 7 aprile, l’ultimo giorno dei mondiali. La squadra americana venne invitata. Henry Kissinger rivelerà: «Erano i primi passi per un riavvicinamento. Non volevamo nulla di ufficiale, il ping-pong andava benissimo. Sapevo che poi sarebbe stato il nostro turno di invito. A me era chiaro: Mao appoggiava l’iniziativa e anche Zhou Enlai. Tutto fu pianificato, ma doveva sembrare spontaneo». Così Glenn Cowan partecipò nel ‘71 alla trasferta in Cina, c’era anche lui nel gruppo dei 14 giocatori che varcò quella frontiera inaccessibile ai non comunisti dal ’49. La gente per strada lo toccava, non avevano mai visto un figlio dei fiori, a loro sembrava un extraterrestre. Quando i cinesi nel ’72 ricambiarono la visita, Glenn non era più in squadra, perché malato di depressione. Zhuang Zedong invece nel tour americano era capo-delegazione e poi ministro dello sport, ma nel ’76 finì in prigione con l’accusa di far parte della banda dei Quattro. Il resto non importa. Glenn Cowan è morto nel 2004, Zhuang nel 2013. La Cina che prima non giocava ha organizzato le Olimpiadi nel 2008 e ospiterà le invernali nel 2022, sempre a Pechino. I giochi dei ragazzi a volte portano lontano. E questa non è una favola.