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 2018  gennaio 02 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LE APERTURE DI KIMREPUBBLICA.ITL’ipotesi della tregua olimpica affacciata da Kim Jong-un viene raccolta dall’altra parte del trentottesimo parallelo

APPUNTI PER GAZZETTA - LE APERTURE DI KIM

REPUBBLICA.IT
L’ipotesi della tregua olimpica affacciata da Kim Jong-un viene raccolta dall’altra parte del trentottesimo parallelo. La Corea del Sud ha fatto sapere di aver ascoltato con favore l’apertura di Pyongyang sulla presenza di atleti provenienti dal Nord alle olimpiadi invernali di Pyeongchang: il presidente Moon Jae-in invita i ministeri dell’Unificazione e dello Sport "a dare rapidamente seguito a misure per riavviare un dialogo Nord-Sud" sulla partecipazione della delegazione. E Seul suggerisce anche una data - il 9 gennaio - per un "incontro al vertice" che possa trovare una soluzione diplomatica. Moon, nella prima riunione di gabinetto del 2018, rileva però che il "miglioramento dei rapporti non può essere separato" dal nodo nucleare.

Nel suo discorso di capodanno, il leader norcoreano aveva invece affrontato i due temi in modo divergente: da una parte l’ipotesi di avviare il dialogo con Seul per la partecipazione degli atleti di Pyongyang ai giochi invernali, dall’altra le minacce agli Stati Uniti. "Si ricordino che il pulsante nucleare è qui sul mio tavolo". Corea del Nord, il discorso di fine anno di Kim: "Il pulsante nucleare è sulla mia scrivania" Condividi   La diplomazia olimpica deve ora mettersi al lavoro. Alle gare in programma a Pyeongchang tra il 9 e il 25 febbraio alla fine potrebbero arrivare solo due atleti nordcoreani. Si tratta di Ryom Tae-Ok e Kim Ju-Sik: un mese fa si sono aggiudicati il pass per le gare a cinque cerchi nel pattinaggio artistico su ghiaccio. Il regime di Pyongyang non ha però avviato le pratiche per il rilascio dei documenti che permettano loro di varcare il confine tra le Coree. E ora, dopo la scadenza dei termini, si tratta di aprire una finestra ad hoc.

PEZZO SUL CORRIERE DI STAMATTINA

Un vestito di taglio occidentale, grigio chiaro con cravatta in tinta, non i gessati scuri o le giacche con colletto chiuso che ama indossare quando minaccia l’apocalisse nucleare. Forse l’abbigliamento scelto da Kim Jong-un per il discorso programmatico di inizio anno non è casuale e serve a proiettare un’immagine dialogante. Il Maresciallo nordcoreano ha chiuso un 2017 per lui trionfale (25 test missilistici e uno nucleare nonostante le sanzioni e i tweet furibondi di Donald Trump) e aperto il 2018 con un messaggio da non sottovalutare.

I segnali offrono diverse chiavi di lettura, dal monito agli Stati Uniti ormai «completamente nel raggio d’azione dei missili» di Pyongyang all’apertura verso la Sud Corea con la proposta di discutere la partecipazione nordcoreana alle Olimpiadi invernali che si aprono vicino a Seul il 9 febbraio.

Primo messaggio. La Nord Corea proseguirà con i suoi sforzi per arricchire l’arsenale di armi di distruzione di massa, anche se il programma per avere l’atomica e un missile intercontinentale capace di colpire le città americane — ha ribadito Kim — è stato completato. Gli analisti si aspettano almeno un altro test, perché gli scienziati nordisti debbono dimostrare di essere riusciti a mettere a punto una testata miniaturizzata con la quale armare i vettori a lungo raggio e di aver risolto il problema del rientro nell’atmosfera. Dettagli tecnici sui quali gli esperti militari non sono ancora concordi.

Secondo segnale, il più preoccupante. Nel 2018 secondo Kim la Nord Corea si concentrerà sulla «costruzione di massa di testate nucleari e missili» (secondo l’intelligence ne servono un centinaio per avere un deterrente credibile). Il Maresciallo ieri ha detto che questo programma è irreversibile e non cambierà di fronte ad alcuna forza esterna: un riferimento ai moniti di Donald Trump. E Kim ha concluso questo passaggio sostenendo che «il bottone nucleare è sempre sulla scrivania del mio ufficio e si tratta di realtà, non di una minaccia». Affermando di essere pronto a schiacciare il pulsante atomico in ogni momento il Maresciallo intende ribadire il principio di deterrenza per scoraggiare gli americani da un’azione preventiva. Le armi sono la sua assicurazione sulla vita, però lascia intendere di non voler colpire per primo.

Il terzo punto del discorso è il più nuovo in questa fase. Kim che non è disposto a discutere di disarmo con gli Stati Uniti si dice invece pronto a parlare con i sudcoreani per «ridurre le tensioni militari nella penisola». Le Olimpiadi invernali di Pyeongchang sono «una buona opportunità per mostrare l’orgoglio nazionale, per questo funzionari delle due Coree dovrebbero incontrarsi subito e parlare della partecipazione di una delegazione del Nord», ha detto Kim.

L’apertura nei confronti del Sud in vista delle Olimpiadi era una mossa ampiamente attesa. A Seul la prima reazione è stata di entusiastica disponibilità. Kim però punta al dialogo con il presidente sudcoreano Moon Jae-in, che lo invoca da quando è stato eletto nella scorsa primavera, sia per ottenere concessioni economiche dai cugini dall’altra parte del 38° Parallelo, sia per creare una divisione tra i sudcoreani e Donald Trump, scettico sulle intenzioni del Nord. E anche Pechino guarda con preoccupazione: secondo i cinesi c’è un’opportunità negoziale, ma la finestra si chiuderà a marzo, con la fine dei Giochi olimpici.

GUIDO SANTEVECCHI

ZUCCONI SU REPUBBLICA DI STAMATTINA

vittorio zucconi, Di che cosa stiamo parlando Nuove minacce al mondo di scatenare una guerra nucleare. Ma anche, come ha fatto già altre volte, l’offerta di migliorare i rapporti con Seul, questa volta grazie alle prossime Olimpiadi invernali di PyeongChang, che si svolgeranno dal 9 al 25 febbraio proprio in Corea del Sud. Nel discorso di fine anno, il dittatore della Corea del Nord Kim Jong-un lancia un avvertimento ai “nemici” occidentali, dice di avere sulla sua scrivania «il pulsante nucleare», e alza ancora una volta la tensione, specie nei confronti degli Stati Uniti, «sotto il raggio di azione dei missili di Pyongyang». Mancano reazioni ufficiali alle minacce di Kim. Gli Usa sono vicini a una guerra come mai», dice Mike Mullen, ex capo di Stato maggiore Usa. Ma, forse, dietro l’apertura di Kim, c’è una reale volontà di trattare washington Nell’anno che deciderà di guerra o pace nucleare fra la Corea di Kim e gli Stati Uniti di Donald, è il despota di Pyongyang a compiere la prima mossa ed è la mossa a sorpresa del cavallo pazzo. In completo chiarissimo con camicia bianca e cravatta, abbandonati i panni stravaganti ma tradizionali da autocrate asiatico con casacche alla Mao Zedong, nel discorso di fine anno Kim Jong- un scavalca Trump e si rivolge direttamente ai fratelli coreani del Sud, aprendo al dialogo politico e all’invio di una delegazione nordcoreana ai Giochi olimpici invernali che si terranno a PyeongChang, nel Sud, a febbraio. Con quell’abbigliamento incongruamente primaverile, nei 7 gradi sotto zero di Pyongyang a Capodanno, Kim vuole segnalare nel discorso alla nazione una sua immaginaria “ primavera coreana” che ha un solo, evidente obiettivo: isolare Trump, al quale l’altroieri ha comunque ripetuto le minacce di «avere a portata di mano, sul tavolo, il pulsante della bomba nucleare » , e mettere così una zeppa nell’alleanza fra Corea del Sud e Stati Uniti. Vuole far leva sull’antipatia diffusa contro il Presidente Usa e sull’orgoglio nazionalistico pan coreano dei fratelli a Sud, stanchi di essere considerati la coda che l’impero americano può agitare a piacere col ricatto della paura. È abile, la mossa del cavallo pazzo coreano. Con pochissima spesa, un cambio di guardaroba, un completo inoffensivamente fantozziano, un paio di occhiali da contabile, una variazione di tono, non rinuncia a niente del riarmo che ha creato e aggravato la tensione ( « la forza nucleare della Corea del Nord è stata completata, è una fonte deterrente per gli Stati Uniti che ora sono sotto il nostro raggio di azione nucleare » ), ma indica una possibile via d’uscita dal sentiero di guerra che Trump sembra avere imboccato promettendo “fuoco e furia”. Mentre esperti come l’ex Capo di Stato Maggiore della Difesa americana, ammiraglio Mike Mullen e il senatore repubblicano Lindsey Graham, danno addirittura al trenta per cento la probabilità di un attacco preventivo contro la Nord Corea in questo 2018, Kim indossa i panni del Coreano Qualunque che vuole ciò che tutti da 60 anni sognano: il ricongiungimento del popolo dimezzato. Perché dovremmo farci di nuovo una guerra e annientarci reciprocamente, come ora potrei fare con le mie armi atomiche e i miei missili che, ripete sapendo che non è vero, possono ormai raggiungere « tutto il territorio degli Stati Uniti », per subire i giochi di americani e russi? La Corea ai coreani, dunque, come già il Vietnam ai vietnamiti. Il fatto che siano stati il nonno Kim, il padre Kim e ora il figlio Kim a imporre la divisione della penisola della “tranquilla pace del mattino” chiudendo il Nord e i suoi 25 milioni di abitanti nel lager di un regime medievale mentre i 52 milioni di fratelli nel Sud crescevano fino a diventare l’undicesima potenza economica del mondo, viene naturalmente tralasciato. I Giochi Olimpici invernali, che cominceranno fra un mese a Pyeong-Chang nella Corea del Sud e che il Nord sembrava volesse boicottare, sono stati in un’occasione per riproporre la simbologia “ low cost” della riunificazione. Già nei Giochi del 2000, 2004 e 2006, le delegazioni del Nord e del Sud sfilarono insieme, sotto un’unica bandiera bianca, ornata dalla silhouette della penisola. L’apertura nazionalista di Kim cade nel tempo di Trump, di un’Amministrazione americana che resta, formalmente, la grande protettrice della democrazia sudcoreana, ma che risulta molto impopolare e temuta. La visita del Presidente statunitense a Seul in novembre ha addirittura accresciuto la diffidenza verso un uomo che predica il verbo dell’“America First” del neo-isolazismo pugilistico e ha rinunciato alla politica delle alleanze come principio cardine del prestigio e della influenza americana nel mondo. «Con la sua aggressività verbale — disse un alto funzionario del governo di Seul al quotidiano inglese Independent — Trump ha fatto a Kim il più bel regalo che potesse fargli». E Barbara Demick, studiosa americana che ha vissuto la propria vita in Corea del Sud ha aggiunto: «Molti coreani qualsiasi hanno oggi più paura di Trump che di Kim». Kim si muove per uscire dall’isolamento nel quale il suo programma nucleare l’ha chiuso e da un momento economico che le defezioni di soldati consumati dalla fame e dai vermi segnalano come specialmente crudele per i suoi sudditi. Non è vera distensione quella che “Kim III” offre e che dovrebbe invece comportare un congelamento della corsa alla Bomba per apparire sincera, cosa che il dittatore non ha fatto. È un espediente per frugare nella impopolarità globale di Trump, per coinvolgere i fratelli oltre il 38esimo parallelo nella resistenza al bullo di Washington, forse suggerita dai burattinai cinesi. La “ primavera di Kim” è un modo diverso per continuare a condurre il duello, per ora a distanza, con l’inverno nucleare minacciato da Trump e da Kim.

STAMPA DI STAMATTINA
FRANCESCO SEMPRINI

Tra i buoni propositi del 2018 di Kim Jong-un c’è forse quello di comportarsi un po’ più da leader e un po’ meno da provocatore. Almeno è quanto sembra dal messaggio inaugurale del nuovo anno, in cui il presidente della Corea del Nord, pur tenendo a sottolineare di avere a portata di mano il «bottone rosso» di attivazione delle testate atomiche, dall’altra parte sembra tendere la mano ai vicini della Corea del Sud. Questo il duplice messaggio di Capodanno di Kim, il quale sottolinea compiaciuto il grande successo messo a segno nel 2017, «il completamento delle capacità nucleari». Gli arsenali atomici, insomma, sono operativi e completi, per attivarli basta schiacciare un bottone, e quel bottone, chiosa Kim, è a portata di mano. «L’intero territorio americano rientra nel nostro raggio d’azione e il pulsante nucleare è sulla mia scrivania, questa non è una minaccia, ma la realtà», avverte Kim. «Non importa quanto l’America voglia attaccarci con la sua potenza militare e atomica - sferza -, loro sanno che ora siamo una grande potenza nucleare e non oseranno farlo». Poi i propositi per il 2018, a partire da quelli più aggressivi: «Concentrarsi sulla produzione di massa di testate e missili balistici per il dispiegamento operativo». La provocazione è una tentazione irresistibile per il leader di Pyongyang, sebbene provi a mostrare un certo giudizio almeno nel «maneggio» degli arsenali: «Queste armi saranno usate solo se minacciati». Quindi l’immancabile monito al nemico giurato, gli Stati Uniti di Donald Trump: «Attenzione a non iniziare mai una guerra contro di me o il mio Paese». Ci sono poi i propositi più concilianti per il nuovo anno, come la mano tesa a Seul, con la proposta di colloqui immediati su una eventuale partecipazione del Nord alle Olimpiadi invernali di PyeongChang, che si apriranno il 9 febbraio. «È il momento che Nord e Sud discutano seriamente su come migliorare i rapporti - dice Kim -. Siamo pronti a compiere i passi necessari, compreso inviare una delegazione per discuterne. Nord e Sud potrebbero anche incontrarsi con una certa urgenza». Lenta maturazione o bluff? Questo per ora non è chiaro, l’unica certezza è che i pattinatori nordcoreani si sono qualificati ai Giochi, e il presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in, vuole che gareggino. Con la speranza che la diplomazia dello sport arrivi laddove quella tradizionale si è arenata.
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MARCO VLASANIA SUL SOLE
Un “disgelo” sulle nevi delle Olimpiadi invernali. Anche se accompagnato tuttora dalla minaccia di aver sempre sulla scrivania il “pulsante rosso” più scottante, quello di un olocausto nucleare. Kim Jong-un - l’oscuro dittatore della Corea del Nord che ha ingaggiato il presidente americano Donald Trump in una corsa al riarmo atomico e una guerra di insulti reciproci - ha scelto quale nuova arma per affrontare la crisi un messaggio “bifronte” d’inizio anno. Che celebra la messa a punto dei suoi arsenali di distruzione di massa, descritti come ormai pronti se necessario a colpire il territorio statunitense. Ma che, soprattutto, sembra promettere di aprire formalmente e per la prima volta da anni la strada a trattative, offrendo di inviare una delegazione ai Giochi che inizieranno a febbraio in Corea del Sud.
La Casa Bianca, protagonista di una politica estera personalizzata da Trump che spesso lascia confusi alleati e avversari, dovrà ora vagliare con cura la nuova offensiva politica di Kim. Giudicare se si tratta di semplice retorica, di un’operazione volta anzitutto a seminare divisione tra Washington e Seul e indebolire il fronte internazionale contro Pyongyang. Oppure se esistano davvero opzioni concrete da esplorare per una de-escalation, anche solo informali.
Nei mesi scorsi Trump e il suo stesso segretario di Stato Rex Tillerson sono parsi a volte ai ferri corti sulle risposte da dare a Kim, con il presidente che minacciava «l’annientamento» militare della Corea del Nord e denigrava alla stregua di «perdite di tempo» canali negoziali dietro le quinte perseguiti invece da Tillerson accanto alla stretta delle sanzioni economiche internazionali contro il regime. Gli stessi analisti vicini al governo americano si interrogano oggi su una presa di posizione il cui tempismo li ha colti di sorpresa: forse Kim si sente sufficientemente “garantito” dai suoi progressi nucleari da provare a ottenere concessioni in cambio di qualche arretramento. Oppure i ripetuti giri di vite delle sanzioni cominciano a farsi sentire e a indebolire il suo potere - due navi cisterna sono state di recente intercettate per il sospetto che violassero l’embargo decretato dall’Onu sul carburante al Paese. I più propendono per questa seconda interpretazione dettata da opportunismo.
Il nuovo messaggio di Kim ha tuttavia indubbiamente cercato - forse con risultati - di far breccia nella politica e nella coscienza collettiva della confinante Corea del Sud, grande alleato americano ma ora anche estremamente preoccupata per la prospettiva di un potenziale e devastante conflitto nella penisola. «Desidero una risoluzione pacifica al confine meridionale», ha incalzato il leader nordcoreano. «Il Nord e il Sud devono alleviare le tensioni e lavorare come un solo popolo con una medesima eredità per trovare pace e stabilità». Il primo invito a rompere il ghiaccio è stato tutto sportivo: Kim ha proposto l’invio «al più presto possibile» di una squadra di rappresentanti del Nord per incontri con le controparti di Seul finalizzati alla partecipazione di una delegazione di Pyongyang all’appuntamento olimpico. Kim ha poi augurato «completo successo» ai giochi invernali, visti come «grande opportunità» per mostrare la grandezza dell’intero popolo coreano.
Seul ha risposto raccogliendo di fatto l’invito. Il presidente Moon Jae-in da mesi si sforza di riallacciare ponti diplomatici finora inesistenti con il Nord, anche offrendo di barattare esercitazioni militari congiunte con gli americani con stop ai programmi atomici. Un suo portavoce ha sottolineato che «abbiamo espresso l’intenzione di parlare con la Corea del Nord in qualunque momento, ovunque e senza alcun riguardo per formalità, se questo ha l’obiettivo di normalizzare le relazioni e la pace nella penisola». Seul ha aggiunto che un successo delle Olimpiadi che si svolgeranno a PyeongChang, a poche decine di chilometri dalla zona di confine tra le due Coree, «potrebbe contribuire a pace e armonia nella regione, nel Nordest dell’Asia e nel mondo».