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 2018  gennaio 02 Martedì calendario

Madia Antonietta: ministra del vuoto ancien régime

Ascoltiamola tutti, giacché Essa ha parlato: “Certe volte basterebbe soltanto chiedere scusa e ammettere di aver usato un linguaggio offensivo e volgare. Un abbraccio a Lucia Annibali”. Sono le parole, scolpite sul nulla di Twitter e dunque scolpite nel posto giusto, del “ministro” Madia in merito alla (non) querelle Travaglio-Annibali. Essendo un tema inesistente, se n’è occupato quasi tutto l’enclave renziano, compreso il Filini di Renzi, all’anagrafe Richetti Matteo, che ha cinguettato con consueto zelo: “Su @LAnnibali si è passato il segno. Nemmeno il rispetto per il suo coraggio, la sua sofferenza, la sua testimonianza. Tutto il @pdnetwork è con lei e mentre le esprime solidarietà si impegna a non far vincere mai cinismo e violenza verbale”. Parole a caso, quindi perfette per il Giglio Tragico.
Ma torniamo al niente, cioè al renzismo. Del “ministro” Madia mi sono occupato solo una volta, sull’empio blog del Fatto, e mi perdonerete se ne riprenderò alcuni stralci. Mai, però, mi era capitato di parlarne in questa rubrica. Per un motivo: la smisurata provvisorietà della Madia mi ha sempre dato le vertigini. “Brava” a prender sempre il treno giusto, Madama Marianna è stata tutto quello che doveva essere per aver successo: veltroniana, dalemiana, civatiana, bersaniana, lettiana, renzina, gentilina. Di sé, una volta, ebbe a dire: “Porto in dote la mia straordinaria inesperienza”. Una sincerità ammirevole, confermata poi da citazioni auliche (Peppa Pig), tesi di dottorato avvolte nel mistero e “riforme” della Pubblica Amministrazione bombardate dalla Consulta. Nelle interviste, concesse di rado e parsimonia neanche fosse una Madonna che centellina il Verbo ai fedeli, è brava a non dire mai niente. Gioca alla svampita, ma è potentissima e sa sempre dove collocarsi. Madama Marianna è una Boschi low profile e, per questo, assai più furba. Diremmo anche molto più intelligente, ma – avendola testé paragonata alla Boschi – sarebbe una ridondanza.
Il “ministro” Madia proviene da una buona famiglia. Chierichetta fieramente contro aborto ed eutanasia, vanta (?) flirt illustri (il figlio di Re Giorgio) e gaffe mitologiche. Epica una sua performance del dicembre 2013, quando – c’era ancora il Governo Letta – andò dal Ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, e gli attaccò un pippone memorabile. Zanonano, dopo minuti esilaranti e interminabili, si alzò. La portò alla finestra. Le indicò il palazzo dall’altra parte della strada. Quindi le disse: “Cara Marianna, non vorrei dirtelo, ma hai sbagliato ministero. Queste cose devi dirle a Enrico Giovannini, il Ministro del Lavoro. Ti basta attraversare la via”. È anche per queste spiccate doti da statista che Renzi ha voluto premiarla subito, dopo l’accoltellamento (politico: non vorrei che poi Richetti se la prendesse per i discendenti di Giulio Cesare) del poco sereno Letta. La Madia pare provenire da un altro tempo, con quei boccoli para-botticelliani, il look da Beethoven senza tocco, i vestiti bianco-martirizzanti, le scarpine da beghina e quell’aura orgogliosamente anacronistica che sa di Restaurazione e naftalina. Te la immagini, circondata da una servitù riverente e terrorizzata, mentre concede ogni tanto una brioche insipida al vile volgo. Cristianamente e amorevolmente, però: perché lei è buona. Tanto buona. Buona, casta e giusta: lo garantisce quel suo sguardo arguto e quella sua permanente rigogliosa, a prova di bombe e bigodini. Chiamatela “Madia Antonietta”, la ministra che venne dall’ancien régime e che fece dell’inefficienza una ragione di vita politica.