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 2018  gennaio 02 Martedì calendario

Trump deciso ad azzerare l’intesa sul dossier nucleare

Quando, nel luglio del 2015, l’Iran firmò l’accordo sul dossier nucleare – sotto la supervisione di Stati Uniti, Russia, Francia, Cina, Gran Bretagna e Germania – l’allora presidente americano Barack Obama,visibilmente soddisfatto, parlò di «storico accordo».
Donald Trump non aveva ancora ufficialmente iniziato la corsa alla Casa Bianca. Ma sapeva che il dossier iraniano sarebbe stato al centro della sua campagna elettorale. Ai suoi occhi l’intesa era semplicemente un «disastro» o, come ha ribadito in ottobre, «una delle cose peggiori mai firmate dagli Stati Uniti».
Non era il solo pensarlo. Nel clima di euforia generale il premier israeliano Benjamin Netanyahu non aveva esitato a definirla «un errore storico per il mondo». Per la monarchia saudita si trattava di un pericoloso regalo al suo rivale, con cui le relazioni erano già ai ferri corti.
Israele e Arabia Saudita erano, e sono convinti, che Teheran non taglierà del 98% le scorte di uranio arricchito entro 15 anni, come prevede il documento. Non valsero a nulla le rassicurazioni di Obama: «L’accordo non si basa sulla fiducia ma sulle verifiche». Riad e Gerusalemme sapevano bene che sarebbe seguita la rimozione delle sanzioni contro Teheran. Venute meno, a inizio 2016, diverse sanzioni internazionali, incluso l’embargo petrolifero europeo, la produzione iraniana di greggio è cresciuta a ritmi sorprendenti (l’export è salito da meno di un milione di barili al giorno a quasi 2,5 milioni). L’economia è così uscita da una profonda recessione e ha cominciato a correre. Un trend che sta proseguendo a ritmi inaspettati.
L’Iran ne ha subito approfittato per impegnarsi con più forza nella costosa campagna militare in Siria a sostegno del regime. Se il presidente siriano Bashar al-Assad è rimasto al potere e si appresta a vincere la guerra, lo si deve al contributo di Mosca e di Teheran.
Insomma, l’Iran è il vero vincitore nell’attuale instabilità mediorientale. Ha salvaguardato l’asse con Damasco e gli Hezbollah libanesi, che gli consente di avere uno sbocco sul Mediterraneo. Ha rafforzato l’influenza in Iraq, strategico per gli Usa. Ha contribuito, per quanto non l’abbia ammesso, a destabilizzare lo Yemen, armandolo anche di missili balistici usati contro Riad.
L’espansione iraniana non poteva non essere motivo di profonda inquietudine per Israele e Arabia Saudita. Quindi anche per gli Stati Uniti. Anche perché l’aggressivo programma balistico non depone certo a favore del regime. L’ultimo test, in settembre, quando Teheran ha testato con successo il terzo tipo di missile con una gittata di 2mila km, ha profondamente irritato la Casa Bianca ricevendo un duro avvertimento in ottobre anche dall’Onu. Ed è questo l’argomento forte di Trump, che peraltro da tempo ripete come un mantra come l’Iran sia divenuto sponsor del terrorismo internazionale. La strategica alleanza cementata tra Washington e Riad, ha come asse centrale proprio l’isolamento – e l’indebolimento – dell’Iran.
Sul fronte del rispetto dell’intesa nucleare, tuttavia, il presidente americano sembra avere le mani legate. Gli ispettori dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica non hanno trovato alcuna prova che l’Iran stia violando l’accordo. Lo ha ribadito più volte anche il segretario generale dell’Onu. Certo, Trump vorrebbe che le ispezioni fossero estese anche a siti militari dove Washington sospetta che il regime di Teheran stia conducendo attività nucleari non consentite. Ma finora gli esperti del suo staff non hanno consegnato all’Onu una lista accurata dei siti sospetti. Obtorto collo, il presidente americano ha firmato quella certificazione di rispetto dell’intesa prescritta ogni tre mesi da una legge americana. Ma a suo avviso l’accordo, se non nella forma, è da tempo violato nello spirito.
Il 13 ottobre la svolta. Trump annuncia che non certificherà il rispetto dell’accordo nucleare da parte dell’Iran. Trump chiede poi al Congresso di approvare nuove e più dure sanzioni contro il regime e invita gli alleati a unirsi agli Usa contro il programma missilistico. Pena il possibile stralcio del documento.
Lo scontro diplomatico con gli alleati europei, decisi a salvaguardare l’accordo, si è fatto così più duro. «Non è chiaramente possibile per alcun presidente al mondo chiudere unilateralmente un accordo di questo tipo», aveva replicato l’Alto rappresentante per la politica estera europea, Federica Mogherini.
Tra nove giorni Trump dovrà nuovamente decidere se certificare il rispetto dell’accordo sul nucleare da parte dell’Iran. È quasi scontato che non lo farà. Per quanto forte sia l’opposizione dei Paesi europei (e di Cina e Russia), sono aumentate le possibilità di vedere nel 2018 lo stralcio dell’intesa nucleare da parte degli Usa. Sarebbe una rottura storica. Dalle conseguenze imprevedibili. E non certo in favore della stabilità del Medio Oriente.