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 2018  gennaio 02 Martedì calendario

L’amore ai tempi di Guadagnino

La bellezza: i colori e il calore dell’estate lombarda, le corse in bicicletta sulle strade sterrate e assolate, le pozze d’acqua per tuffarsi, i palazzi antichi, le rovine, le chiese, la quiete di una piccola città, i nascondigli nei prati dove abbracciarsi, la villa antica e ombrosa immersa nel verde, i frutti da cogliere, i pranzi all’aperto e la siesta, il caldo, il sudore sulla pelle, la notte silenziosa, il temporale, i gesti sconosciuti dell’amore. Il critico del Sunday Times Tom Shone ha scritto “Ditemi dove è questo posto bellissimo e mi prenoto subito un aereo”. E Pedro Almodóvar: “Chiamami col tuo nome’ è il più bel film del 2017”.
Da noi arriverà il 25 gennaio.
Il film è stato premiato ovunque e ha tre nomination ai Golden Globe, tra avversari fortissimi: miglior protagonista, miglior non protagonista, miglior film drammatico. Il 7 gennaio saranno proclamati i vincitori.
Poi ci saranno gli Oscar, e si vedrà.
Crema e dintorni, 1983, lontana l’Italia di Craxi e delle amarezze politiche, l’estate pigra della colta famiglia italo americana, “ebrea con discrezione”, come dice la madre (Amira Casar) nella loro villa delle vacanze: libri in tutte le lingue, antichità, una cucina in continua attività gourmet, ombra fresca, sigarette e spinelli per tutti; tempi senza iphone, di poche parole vere per rivelarsi, di silenzi per negarsi e proteggersi. Il padrone di casa (Michael Stuhlbarg) è uno studioso di archeologia e ogni anno invita un giovane laureato per aiutarlo nelle ricerche. Dalla finestra Elio (Timothée Chalamet), il figlio diciassettenne, vede scendere dal taxi un giovane uomo di massima bellezza da statua greca; Oliver (Armie Hammer) è sfuggente, evita il bel ragazzino dal volto caravaggesco, è subito circondato da ragazze, scompare per ore. Anche Elio ha la sua ragazza ma con tutto se stesso vuole Oliver che ha 24 anni (in realtà nell’estate del 2016, quando il film è stato girato, l’attore ne aveva 30, e si vede), con cui ha in comune la catenina con la stella di Davide al collo: gli tende trappole, lo provocai, gli mette la mano tra le gambe, sovrappone i suoi piedi nudi a quelli di lui, lo costringe a baciarlo, lo travolge con la sua cultura e le variazioni di Bach al piano e alla chitarra. È il ragazzino il seduttore: “Mi rendi le cose difficili” gli dice Oliver, prima di cedere, accogliendolo nel suo letto. Il bel romanzo di André Aciman, Chiamami col tuo nome (Guanda), che ha ispirato il film, fa raccontare a Elio, in modo molto esplicito, la notte di passione, di disgusto, di scoperta, di meraviglia, di nausea, di rimorso, di felicità. La sceneggiatura di James Ivory prevedeva molte scene di nudo: Guadagnino le ha cancellate, come se volesse proteggere il segreto di una prima notte di verità e disagio: mostra nel buio due corpi allacciati indistinguibili e poi subito inquadra la finestra spalancata sul nero della notte. Ed è questo pudore, questo rispetto, questo abbandonare lo spettatore alla sua immaginazione e alle sue emozioni, a commuovere, a rendere tutti partecipi di emozioni e gesti invisibili legati al primo amore che tutti hanno vissuto. Non un film gay, ma un film di scoperta e di perdita, di amore. Oliver è tornato negli Stati Uniti, padre e figlio sono seduti sul divano: il padre ha capito, il padre sa. «Ricordati, cuore e corpo ci vengono dati una volta sola… adesso soffri.
Non invidio il dolore in sé, ma te lo invidio questo dolore».
Chiamami col tuo nome come se fossimo una cosa sola, è una storia piena di luce e di grazia perdute in un angolo d’Italia che ricorda i luoghi di Novecento di Bertolucci, l’autore che Guadagnino considera un maestro e a cui ha dedicato un documentario. Il film ha un lungo percorso. Nel 2007 due produttori americani ne comprarono i diritti, affidando la regia a James Ivory, novantenne, che poi si limitò alla sceneggiatura. Guadagnino doveva trovare i luoghi dove girare: il libro è ambientato a Bordighera, Guadagnino scelse Crema, dove vive col suo compagno in un magnifico palazzo, e la campagna attorno.
Infine gli fu affidata la regia: nessun italiano, né la Rai né i nostri produttori più importanti hanno creduto nel film e tranne che per un contributo ministeriale, il costo, 3 milioni e mezzo di dollari, è stato finanziato da francesi, tedeschi, brasiliani, americani e dallo stessa casa di produzione di Guadagnino, con la distribuzione della Sony. Il regista sceneggiatore italiano, di madre algerina da cui ha ereditato occhi tenebrosi, ha 46 anni, ed è una figura anomala nel mondo del nostro cinema; non frequenta il mondo romano del cinema, della mondanità e della politica, preferisce attori stranieri (Tilda Swinton in Io sono l’amore, A bigger splash con Ralph Fiennes), evita le storie di camorra, poveri, borgatari, preferendo personaggi della buona borghesia intellettuale, senza prenderli in giro, raccontandoli con rispetto e verità. Quando Chiamami col tuo nome è entrato nella cinquina dei Golden Globe, titoli contenti suoi nostri giornali, sulla italianità del film, per via della regia di un italiano, Luca Guadagnino, e dei tanti italiani che hanno collaborato, dal montatore Walter Fasano ai costumi di Giulia Piersanti agli interni di Violante Visconti. Ma il film è americano, da un romanzo americano, con sceneggiatura americana, attori americani, un direttore della fotografia tailandese (quello del film Palma d’Oro 2010 a Cannes, di cui non si riesce a ricordare né il titolo né il regista), canzoni dell’americano Sufjan Stevens.