la Repubblica, 2 gennaio 2018
L’amaca
Tra i buoni propositi per il nuovo anno ce n’è uno vecchio, eppure sempre disatteso. Lo chiamerei “passo indietro”, e per definirlo meglio incrocio due delle letture di fine anno che mi hanno più colpito. Una è l’elogio della continenza fatto da Marco Belpoliti: nel quale continenza – parola desueta – è alla fin fine sinonimo di pudore. Antidoto al narcisismo, argine al dilagare dell’ego. L’altra è la bellissima intervista di Antonio Gnoli a Francesco Guccini, dove il grande vecchio di Pavana dichiara di non scrivere più canzoni perché «non ha più niente da dire». Esempio quasi inimitabile di continenza per via naturale, di rispetto profondo (Guccini è un contadino) per i cicli del tempo.
Uno che scrive tutti i giorni – eccomi – non è il meglio indicato per predicare continenza e passi indietro.
Eppure, mano a mano che salgono tono e volume del dibattito pubblico, viene spontaneo guardarsi attorno alla ricerca di voci meno aggressive – che non significa inconsistenti, e anzi. Si cerca autorevolezza nello sguardo sereno dei pochi che possono permetterselo, nelle poche parole dei pochi che le rispettano. Il silenzio di Guccini, per paradosso, ha un’eloquenza emozionante, tacere per appagamento, perché è esaurito il bisogno di dire, o perché nuovi pensieri (più interni) occupano la scena.
Sentire attorno a noi anche silenzio aiuta a restituire peso alle parole. Chiudere la bocca, aprire le orecchie, ecco il passo indietro che ci aiuterebbe tutti quanti.