Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 02 Martedì calendario

Contratti: 1,4 miliardi di buco per il rinnovo degli enti locali

Roma Archiviato il rinnovo del contratto per 247 mila statali “centrali” – dunque dipendenti di ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici come Inps, Enac, Cnel – ora il governo, rappresentato dall’Aran, deve chiudere anche il conto con gli altri tre comparti della pubblica amministrazione. Ma all’appello mancano circa 1,4 miliardi.
Il primo appuntamento scatta proprio oggi, con la convocazione dei sindacati della “conoscenza”, dunque scuola, università, enti di ricerca. Poi sarà la volta di sanità ed enti locali. In tutto, 2 milioni 710 mila lavoratori – dato inserito nella relazione tecnica della legge di Bilancio – con buste paga congelate dal 2010. La retribuzione media, pari a 31.749 euro annui lordi, salirà per tutti del 3,48%: 85 euro lordi mensili in media. Tolti quindi i “centrali”, occorre ora assicurare gli 85 euro anche agli altri 2 milioni e 463 mila dipendenti pubblici. Le risorse stanziate negli ultimi tre anni – 2 miliardi e 850 milioni – servono a coprire gli aumenti dei “centrali” e anche di scuola, militari, polizia, personale di accademie e conservatori di musica. I restanti – Comuni, Regioni, Province – devono fare da sé. Così come la sanità. E qui non tutto fila liscio.
Comuni, Province e Città Metropolitane dicono di aver bisogno di 650 milioni. Non tutti gli enti però, pur potendo contare su avanzi di bilancio pregressi, riescono a spenderli per i vincoli del Patto di stabilità, ovvero l’esigenza di non fare deficit e mantenere le uscite pari alle entrate. «C’è Comune e Comune, però», spiega Luigi Marattin, consigliere economico di Palazzo Chigi sui temi della finanza locale. «Chi ha avanzi e margini per usarli, senza violare le regole del Patto, li userà. Gli altri dovranno ingegnarsi su turn over e spese. D’altro canto ricordo che lo Stato non ha mai coperto questi oneri. E che l’avanzo dei Comuni nel 2016 era di 6,4 miliardi, seppur anomalo perché primo anno di applicazione del nuovo codice degli appalti, con molti bandi bloccati. Dopodiché trovo giusta la critica dei sindaci: chi spende per gli aumenti contrattuali a livello locale e chi li decide, cioè lo Stato, oggi non coincidono. Quando dovrebbero sedere allo stesso tavolo».
Anche le Regioni sono alle prese con un problema di non poco conto: la sanità. «Per dare 85 euro in più al mese a circa 900 mila dipendenti, compresi i 200 mila medici, occorrono un miliardo e 400 milioni, ne abbiamo la metà», lamenta Massimo Garavaglia, presidente del comitato di settore che tratta con lo Stato per conto delle Regioni sul rinnovo del contratto. «Il governo quest’anno ha deciso di fermare il conto del Fondo nazionale sanitario a 113,4 miliardi. E così ci mancano 700 milioni. Cosa facciamo, diamo solo 40 euro di aumento oppure allunghiamo le liste d’attesa e tagliamo esami e servizi? Abbiamo scritto al ministro Padoan, senza ricevere risposta». Anche nella scuola c’è un po’ di maretta. Ai soldi in Finanziaria, i sindacati chiedono di aggiungere anche i denari della Buona Scuola: i 380 milioni della card per l’aggiornamento professionale degli insegnanti,, e i 200 milioni destinati a premiare i docenti più bravi.
Il governo vorrebbe chiudere tutti i contratti prima del 4 marzo, data delle elezioni. Così da mettere i primi soldi extra nella busta paga di febbraio, cominciando dagli arretrati. Per gli statali sarà così. Per gli altri, sembra meno facile.