Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 02 Martedì calendario

Quando lo Stato paga in ritardo

ROMA «Ci dispiace, non ci sono soldi, dobbiamo pagare prima gli stipendi, dovete aspettare». Così il Comune di Napoli rispondeva ad Angelo Lancellotti, la cui piccola azienda, la I. Co. M. E. S, aveva eseguito tutti i lavori di manutenzione immobiliare previsti dall’appalto. «L’ultima fattura l’abbiamo inviata nel 2012, e non ci è stata ancora pagata», dice Lancellotti. «Da allora si sono alternati diversi dirigenti, ma devono essersela scordata. Per la maggior parte dei nostri lavori aspettavamo non meno di due anni, così abbiamo deciso di trasferirci in altre città». Lo scandalo dei pagamenti con il contagocce ha sicuramente i suoi picchi nel Mezzogiorno, ma ad esserne investite sono, chi più chi meno, le amministrazioni pubbliche di tutta la penisola. E c’è di più: per evitare di risultare inadempienti, molte di esse spingono le imprese a ritardare l’invio delle fatture.
Ancora oggi sette aziende su dieci denunciano ritardi da parte dei Comuni, sicuramente i più inadempienti. E i tempi medi di attesa si attestano sui 100 giorni.
Eppure, se guardiamo agli ultimi anni, un miglioramento c’è stato e anche molto significativo. Nel 2010, dice la Banca d’Italia, si aspettavano in media 240 giorni, più del doppio. Anche i costruttori ammettono: «Il tempo medio di pagamento non è mai stato così basso come oggi: 156 giorni, contro i 320 di quattro anni fa». E tuttavia, i progressi compiuti non sono bastati a far rientrare l’Italia nel novero dei Paesi in regola: ossia quelli in cui un’azienda viene pagata entro 30 giorni dall’invio della fattura, ed entro 60 in casi particolari. E così, a tre anni dall’apertura della procedura di infrazione da parte di Bruxelles, il nostro Paese è stato deferito alla Corte di Giustizia e ora rischia multe salatissime. Ma anche a prescindere dai diktat europei, le aziende italiane, nonostante i miglioramenti, aspettano ancora troppo prima di essere pagate, e nel frattempo, come denuncia l’Ance, sono costrette a ridurre gli investimenti ( il 38%) o a licenziare ( il 32%). E finiscono per ritardare a loro volta i pagamenti ai propri fornitori ( il 41%) in una catena di inadempienze senza fine.
Torna alla mente la scommessa fatta “Porta a Porta” da Matteo Renzi, appena insediato a Palazzo Chigi. Era il 13 marzo 2014. Entro il 21 settembre ( giorno di San Matteo) il governo avrebbe smaltito tutti i debiti accumulati dalla pubblica amministrazione.
Altrimenti, come penitenza, il nuovo premier avrebbe fatto a piedi i venti chilometri che separano Firenze dal santuario del Monte Senario. A fine estate i debiti erano stati regolati solo in parte, ma, disse il governo, i soldi erano già stati messi a disposizione. In realtà, mancava persino ( e manca tuttora) una stima ufficiale di quei debiti: 56 miliardi per il governo, 75 per la Banca d’Italia.
Quelli, comunque, furono gli anni in cui, dopo una pluriennale inerzia politica, i governi cominciarono a intervenire. Ci provò Mario Monti con lo “Sblocca Debiti” che stanziò una somma imponente ( 40 miliardi in due anni) da dare come anticipazione alle amministrazioni in difficoltà, e restituire in 30 anni.
Continuarono l’opera i due governi successivi, che all’immissione di liquidità aggiunsero una semplificazione delle procedure di certificazione.
Il risultato fu un forte calo dei debiti: venti miliardi in meno in due anni. Ma ben presto questo calo cominciò ad affievolirsi e chi sperava in un rapido azzeramento dovette ricredersi.
Dunque, una battaglia vinta solo a metà. Ancora oggi ci sono oltre 60 miliardi di debiti commerciali, gran parte dei quali accumulati oltre i tempi consentiti. Che cosa è successo? Perché le misure attuate non sono bastate? Il problema è che mentre si smaltivano i vecchi debiti, se ne facevano di nuovi. Ossia gli interventi sulla liquidità avevano messo una toppa al buco ma non avevano affrontato le sue cause strutturali. La politica di austerità ha sicuramente acuito il problema, ma la vera causa di fondo sta soprattutto nel modo in cui si fanno i bilanci pubblici in Italia. Il Parlamento approva un bilancio di competenza: ossia decide gli impegni di spesa ma non i relativi pagamenti. Questo significa che tra le due fasi può passare anche molto tempo, e nel frattempo si accumula una montagna di residui passivi, che sono proprio la differenza tra impegni e pagamenti, destinati a diventare veri e propri debiti. Il risultato non è solo un cronico ritardo, ma è anche la perdita di controllo sulle spese da parte della politica, mentre a decidere in ultima analisi su quanto pagare è la Ragioneria generale dello Stato, la quale allarga e stringe la borsa a seconda delle necessità contingenti. Si arriva così al paradosso efficacemente sintetizzato da Manin Carabba, presidente onorario della Corte dei Conti: «L’amministrazione vive senza i conti e i conti senza amministrazione».
Di fronte a questa stortura, unica in Europa, gli ultimi governi hanno tentato di avvicinare il bilancio di competenza a quello di cassa ( senza però rinunciare al primo), e di creare un sistema di monitoraggio in tempo reale dei pagamenti dovuti, che però entrerà in funzione solo a fine 2018. Paradossalmente, proprio i tentativi di dare più trasparenza al fenomeno, a cominciare dalla fatturazione elettronica, che individua l’esatto momento in cui viene inviata la fattura, stanno creando nuove distorsioni. Gli enti pubblici, infatti, non potendo più “barare” sulle date, cercano di convincere le imprese a ritardare l’invio delle fatture o degli stati di avanzamento lavori. «Prassi gravemente iniqua», come la definisce Bruxelles, denunciata dal 63% delle imprese edili.
«Abbiamo visto bandi comunali – racconta Lancellotti – nei quali l’amministrazione scriveva che non avrebbe pagato prima di sei mesi». E c’è una impresa marchigiana di manutenzione stradale – dice l’Ance – alla quale una delle Province ha detto chiaro e tondo: «Tu lavori per me da gennaio a dicembre, e io ti pago a fine anno». Resta da capire perché, al di là delle misure più strutturali ancora da attuare, questi escamotage vessatori non vengano sanzionati, e perché non scatti nei casi più gravi il commissariamento dell’amministrazione inadempiente.