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 2017  dicembre 30 Sabato calendario

La vita quotidiana della mafia globale

La mafia è un fenomeno umano e bisogna tenerlo a mente per comprenderla, e dunque contrastarla. Scoprire la troppo umana quotidianità di chi vive e muore nelle organizzazioni criminali, inoltre, regala uno sguardo diverso, spaesante ma più profondo, anche sulla nostra (presunta) “normalità”. Sono due dei tanti motivi per cui vale la pena di leggere Vita di mafia.
Amore, morte e denaro nel cuore del crimine organizzato (Einaudi).
Federico Varese, professore di Criminologia a Oxford, studia le mafie in modo analitico e comparativo: approccio che coglie trasformazioni e nuovi pericoli nel contesto globale (e aiuta a capire la posta in gioco nei dibattiti su Ostia o il sistema-Carminati che dividono la magistratura). Se nel precedente Mafie in movimento al centro erano i fattori economici, ora il focus è sulla dimensione antropologica ed esistenziale. Il saggio, pur documentatissimo, ha il passo agile del racconto.
Strutturati attorno alle figure di affiliati nelle più diverse parti del mondo, i capitoli corrispondono alle fasi di ogni esistenza umana: nascita, lavoro, amore, denaro, rappresentazione di sé, politica, morte. Balzano così le analogie tra le organizzazioni criminali: codici, rituali d’iniziazione, prassi di gestione si rivelano simili dai vory-v-zakone russi alla yakuza giapponese, alle triadi cinesi, a Cosa Nostra (comune a tutti il divieto di affiliare donne, sulle cui ragioni Varese discetta a lungo).
«La vita è dura / e poi si muore»: l’ironico esergo (citazione musicale degli anni Ottanta) vale per tutti, ma dentro le mafie di più. Perché allora hanno tanto successo? Oltre alla capacità di innestarsi con un forte potere di coercizione in economie di mercato mal regolate, le mafie interpretano e manipolano bisogni universali: identità e appartenenza, possibilità di ascesa sociale altrimenti preclusa. Chi e come sappia soddisfare quei bisogni in ambito legale nella “società liquida” è una delle molte domande politicamente urgenti che il libro suscita (una possibile risposta, molto bella, nei racconti delle proteste a Hong Kong, che videro le triadi accanto al governo nella repressione). Le mafie inoltre beneficiano delle torsioni che il neoliberismo imprime alle democrazie: dal divario crescente tra ricchi e poveri alla privatizzazione e segregazione degli spazi urbani (molto vivide le pagine su Dubai, compendio di questi fenomeni). Per non dire del ruolo delle banche, e del potenziale criminogeno dei dispositivi studiati a beneficio dell’evasione fiscale dei super-ricchi. A che servono le 2159 società che hanno sede legale e segreteria telefonica in una palazzina di tre piani a Londra?
L’autore rompe un tabù dei saggi accademici entrando nel racconto in prima persona. Scopriamo così anche il lavoro avvincente, rischioso e a volte surreale del ricercatore sul campo. Attraverso le molte interviste e incontri diretti, tra hotel di lusso e baracche di lamiera, l’occhio limpido e curioso del vero ricercatore coglie l’umanità dei mafiosi: le peripezie di Mereb, leader pro tempore della mafia georgiana (di cui Varese svela, dato inedito, i contatti con la ‘ndrangheta) per organizzare un summit, “Dente rotto” Wan deluso dal film prodotto per suggellare la propria leggenda. Così crolla ogni rappresentazione mitizzata, di quelle che alla mafia piacciono tanto, tipo Il padrino. Un esempio di cosa sia davvero l’empatia, spesso citata a sproposito e confusa con l’identificazione, la compassione o, peggio, atteggiamenti di ambiguità morale.