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 2018  gennaio 02 Martedì calendario

Breve storia del concorso esterno: il reato che non esiste

Gli inizi degli anni ottanta furono caratterizzati da omicidi politici e attentati di mafia. “Cosa nostra”, la principale organizzazione mafiosa, aveva subito una profonda trasformazione estendendo la sua influenza nel Paese. Nel sistema penale italiano mancava una norma adatta a contrastare questo fenomeno criminale anche sotto l’aspetto economico.
Un cambio di passo nella legislazione antimafia avvenne nel 1982 quando fu approvata la legge Rognoni- La Torre. Venne introdotta una diversa fattispecie di associazione a delinquere rispetto a quella già considerata dal codice penale, ponendo l’accento sulla specifica capacità di intimidazione tale da «indurre l’assoggettamento di terzi» e analoga specifica abilità nell’intrattenere «rapporti con poteri pubblici».
Secondo l’art 416 bis cp si ha associazione mafiosa «quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva per commettere delitti per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali».
Sul punto erano state mutuate le esperienze della legislazione degli Stati uniti che avevano già affrontato il fenomeno. Il 416 bis cp, essendo un reato di tipo associativo, presuppone l’esistenza di un’organizzazione gerarchica strutturata in ruoli. Il tema si pose nei confronti in particolare di politici o imprenditori i quali, pur non essendo organicamente inseriti nell’organizzazione, tessevano rapporti con la stessa in tal modo favorendola e nel contempo ottenendone un vantaggio. Questi soggetti, a differenza dell’affiliato, non danno un apporto stabile e continuativo all’associazione mafiosa ma un contributo occasionale, difettando in loro la consapevolezza di essere all’interno di un accordo criminoso di tipo indeterminato e che mira a perpetrare una seria indefinita di fatti delittuosi. Queste condotte non rientrano nella fattispecie del reato di associazione mafiosa così come descritta nell’art. 416 bis cp.
La magistratura ha tuttavia ritenuto che queste condotte non potessero sfuggireall’area del penalmente rilevante. La giurisprudenza ha così elaborato laparticolare fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa. Questa fattispecie si costruisce attraverso la lettura combinata dell’art. 110 cp che disciplina il concorso di persone nel reato e l’art 416 bis cp. La Cassazione ha delimitato i contorni di questa nuova fattispecie di reato: il concorrente esterno nel reato di associazione mafiosa è quel soggetto il quale non fa parte dell’associazione però pone in essere comportamenti che determinano «il mantenimento, il rafforzamento e l’espansione dell’associazione medesima».
Ed ha ulteriormente ristretto l’ambito di applicazione del concorso esterno in associazione mafiosa richiedendo anche «positive attività che abbiano fornito uno o più contributi suscettibili (…) di produrre un oggettivo apporto di rafforzamento o consolidamento sull’associazione». L’anomala genesi della fattispecie di concorso esterno in associazione mafiosa così descritta è, tuttavia, fonte di non pochi problemi applicativi. Si va dal tipo di dolo richiesto alla necessità o meno, per integrare il reato, che l’operato del concorrente esterno dia un concreto contributo agli scopi dell’associazione mafiosa. Ancora più problematico conciliare il concorso esterno in associazione mafiosa con i principi fondamentali per il diritto penale che richiedono tassatività e di determinatezza delle fattispecie giuridiche.
Ed è proprio su questo ultimo aspetto che si è focalizzata l’attenzione della Cedu nel 2015 sul caso Contrada. In assenza di una norma esplicita non gli era stato possibile sapere con chiarezza prima di porre in essere le condotta incriminate che queste erano un reato e a quale pena rischiasse di essere condannato. La sentenza Contrada avrà ora riflessi anche sul caso Dell’Utri, condannato anch’esso per concorso esterno in associazione mafiosa. Di diverso avviso l’ex procuratore di Torino Gian Carlo Caselli secondo il quale la sentenza Cedu su Contrada si base su un assurdo logico e giuridico. In lungo articolo sul Fatto Quotidiano del 29 dicembre Caselli richiede su Dell’Utri di prestare grande attenzione essendo la posta in gioco non solo tecnica ma che coinvolge «la qualità stessa della nostra democrazia che può appannarsi». Una analisi non condivisibile in quanto democrazia vuole anche dire che qualunque persona, non solo Dell’Utri deve essere posta in condizione di sapere anticipatamente se una sua condotta è reato o meno. E come viene punita.