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 2018  gennaio 01 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - DISORDINI IN IRANREPUBBLICA.ITTEHERAN - Non si placano le violenze in Iran neppure dopo l’appello alla calma lanciato domenica dal presidente Hassan Rouhani

APPUNTI PER GAZZETTA - DISORDINI IN IRAN

REPUBBLICA.IT
TEHERAN - Non si placano le violenze in Iran neppure dopo l’appello alla calma lanciato domenica dal presidente Hassan Rouhani. A Teheran sono ripresi gli scontri nel centro della città: i media hanno diffuso immagini di auto in fiamme e della massiccia presenza di polizia mentre i social media parlano della presenza di piccoli gruppi di manifestanti che nel centro della capitale intonano canti e slogan anti-regime.

Fars released a video showing a taxi was torched along Ferdowsi in Tehran #Iran pic.twitter.com/XaLZE7Y6aH

— Michael A. Horowitz (@michaelh992) 1 gennaio 2018
Mentre la repressione del governo, che ha già portato all’arresto di quattrocento manifestanti e oscurato i social network, continua con il "pugno di ferro". In totale sono dodici le persone morte nei disordini a partire da giovedì, quando la protesta è scoppiata a Mashhad, la seconda città del Paese, per poi ampliarsi a livello nazionale, compresa la capitale Teheran dove sono state arrestate in questi giorni più di 200 persone. I manifestanti hanno assaltato stazioni di polizia e basi militari. L’escalation della tensione nella regione è seguita da Donald Trump che coglie l’occasione per attaccare il governo iraniano.

• TRUMP: "IRAN STA FALLENDO A TUTTI I LIVELLI"
L’Iran "sta fallendo a tutti i livelli nonostante il terribile accordo fatto con l’amministrazione Obama. Il grande popolo iraniano è represso da molti anni. Sono affamati di cibo e di libertà. Insieme ai diritti umani, la ricchezza dell’Iran viene saccheggiata. Tempo di cambiare!". Lo scrive su Twitter il presidente Usa Donald Trump. In un altro tweet, il presidente Usa aveva attaccato l’Iran per aver oscurato alcuni social network. "Lo Stato numero uno del terrore che sponsorizza numerose violazioni dei diritti umani, ha ora chiuso Internet in modo che i manifestanti pacifici non possano comunicare".

Iran is failing at every level despite the terrible deal made with them by the Obama Administration. The great Iranian people have been repressed for many years. They are hungry for food & for freedom. Along with human rights, the wealth of Iran is being looted. TIME FOR CHANGE!

— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 1 gennaio 2018
• L’ESCALATION DELLA VIOLENZA, ANCORA VITTIME E ARRESTI
Dopo le vittime registrate negli ultimi giorni, domenica sera - per la quarta notte consecutiva -  ci sono stati nuovi disordini: altre quattro persone sono rimaste uccise e decine ferite durante le proteste antigovernative a Izeh, una città nella provincia di Khuzestan nel sudovest dell’Iran. Il bilancio degli incidenti di domenica nelle varie manifestazioni era stato di due morti nella città di Dorud e di cento arresti e di 12 feriti tra gli agenti di polizia ad Arak, a sud di Teheran. Iran: roghi in strada a Teheran, intervengono i paramilitari Condividi   • CASA BIANCA: "GOVERNO ASCOLTI VOCE DEL POPOLO"
Su quanto sta avvenendo in Iran si è espressa anche la Casa Bianca che ha invitato il governo ad ascoltare le voci del popolo iraniano. Nel Paese, da quattro giorni, migliaia di persone scendono in piazza in molte città per protestare contro la corruzione, l’aumento del costo della vita, la disoccupazione, e la mancanza di trasparenza del governo. Presa di mira in particolare la casta religiosa accusata di arricchirsi mentre la popolazione vive di stenti.

"Sosteniamo il diritto del popolo ad esprimersi pacificamente", si legge in una nota della Casa Bianca, che già due giorni fa aveva esortato il governo di Teheran "a rispettare i diritti" dei manifestanti ("Il mondo vi guarda", aveva twittato Donald Trump). "Incoraggiamo tutte le parti - dice ancora la nota di Washington - a proteggere questo diritto fondamentale all’espressione pacifica e ad evitare qualsiasi azione che contribuisca alla censura".

NETANYAHU LODA I "CORAGGIOSI" MANIFESTANTI
Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha lodato i "coraggiosi" manifestanti iraniani che "anelano alla libertà", in un video in inglese in cui liquida come "ridicola" l’accusa del presidente irano Hassan Rohani sul fatto che Israele sia dietro le proteste. https://twitter.com/netanyahu/status/947866447031816193 "Diversamente da Rohani non intendo insultare il popolo iraniano. Meritano di meglio - ha affermato Netanyahu - iraniani coraggiosi invadono le strade. Vogliono la libertà. Vogliono le libertà fondamentali che vengono loro negate da decenni". Il primo ministro israeliano ha puntato poi il dito contro il "crudele regime iraniano" che ha speso "miliardi di dollari per spargere odio" invece di costruire scuole e ospedali per il suo popolo".

"Iraniani e israeliani torneranno ad essere grandi amici" quando la repubblica islamica crollerà, come "accadrà un giorno", ha aggiunto Netanyahu, accusando i governi europei di rimanere in silenzio mentre "gli eroici giovani iraniani vengono picchiati nelle strade".

REPUBBLICA.IT
NIGRO E...
Ci sono ancora molte domande senza risposta in questa nuova ondata di proteste in Iran. I veri interrogativi sono sul futuro di questo movimento: le proteste saranno in grado di mettere davvero in crisi il regime? O soltanto di provocare dei cambiamenti, degli aggiustamenti nelle politiche economiche del governo di Hassan Rouhani? Si innescherà un processo politico capace di portare a modifiche complessive nel sistema della Repubblica Islamica? O semplicemente si esauriranno, si disperderanno di fronte alla capacità del regime di controllare comunque la piazza e le sue dinamiche politiche?
 
È troppo presto per dirlo, e allora per il momento bisogna provare a capire qualcosa di più di quello che è accaduto. Primo punto: ormai troppi segnali, troppi analisti, troppe informazioni concorrono a dire che la protesta è esplosa a Mashhad, una delle città sante degli sciiti, perché innescata da un gruppo di religiosi e politici conservatori avversari del presidente Rouhani.
 
Mashhad è la citta di Ibrahim Raisi, il religioso che nelle elezioni del maggio scorso fu lo sfidante conservatore di Rouhani. E Mashhad è anche uno dei bastioni dell’ex presidente Ahmud Ahmadinejad, un leader populista che la stessa guida suprema Ali Khamenei è stata costretta a frenare nelle sue mosse politiche. Gli avversari conservatori di Rouhani volevano soffiare sul fuoco dello scontento popolare per la crisi economica e soprattutto per i rincari dei beni di prima necessità che sono stati il vero carburante che spiega la diffusione istantanea della protesta in tutto il Paese.
  Iran, nuove proteste e scontri a Teheran Navigazione per la galleria fotografica 1 di 8 Immagine Precedente Immagine Successiva Slideshow
Il problema è che le motivazioni economiche si sono immediatamente intrecciate con una contestazione politica profonda del sistema della Repubblica Islamica, una evoluzione che è quindi rimbalzata addosso a quei conservatori che volevano danneggiare Rouhani, difendendo il leader Khamenei e il gruppo dei principalisti che sono il nucleo duro del regime iraniano.
 
Oltre a bruciare poster e cartelloni dell’ayatollah Khamenei, molti dimostranti hanno gridato slogan contro le scelte strategiche dei conservatori iraniani, ovvero contro l’impegno militare in Siria, Iraq, Libano, impegno sostenuto dal corpo di élite della rivoluzione, quei "pasdaran" che sono diventati ormai uno dei primi eserciti del Medio Oriente.
 
In strada gli slogan "No Gaza, no Libano, no Siria, la nostra vita è per l’Iran!" sono la contestazione più evidente dell’impegno internazionale del regime che ha avuto come effetto diretto quello di trasferire all’estero decine di miliardi di dollari che sarebbero vitali per l’economia del Paese.
 
Da un paio di anni il dibattito interno sull’impegno militare ed economico in Siria si era fatto molto intenso: la stragrande maggioranza dei cittadini iraniani non comprende e non condivide la portata dell’impegno strategico che Teheran ha deciso di mettere in campo in Siria. Un impegno che ha portato a combattere migliaia di soldati, ha previsto spese in armamenti, prestiti al regime di Bashar al Assad e finanziamenti per organizzare le altre milizie che hanno combattuto al fianco del regime di Damasco.
 
Tutto questo è venuto clamorosamente alla luce in questi giorni di proteste popolari. L’Iran, dopo gli Stati Uniti e la Russia, è di sicuro il Paese che ha investito di più in termini finanziari e militari nella regione del Grande Medio Oriente: dalla Siria, al Libano, allo Yemen, all’Iraq, il leader supremo Khamenei e il suo "braccio armato" dei pasdaran hanno deciso che per difendere la rivoluzione islamica non bisognava rimane in attesa all’interno dei propri confini. Soltanto ad Assad sono stati garantiti prestiti per 4,6 miliardi di dollari, senza contare le forniture militari e le spese per sostenere gli ufficiali iraniani inviati a sostegno dell’esercito siriano e le migliaia di soldati di milizie sciite provenienti da Libano, Afghanistan e altri regioni asiatiche, una "legione straniera sciita" molto efficiente ma molto costosa.
 
E’ difficile capire cosa accadrà adesso: Rouhani da tempo aveva provato a limitare le mire espansionistiche dei pasdaran e dell’ala conservatrice del regime, ma proprio la sua incapacità di migliorare la situazione economica del Paese lo ha reso debole innanzitutto agli occhi dell’elettorato che lo aveva votato a valanga. Adesso però la mossa di chi ha portato la protesta nelle piazze potrebbe rovesciarsi proprio sui conservatori. L’intervento del presidente in consiglio dei ministri, quello in cui ha detto che "bisogna garantire spazi alla protesta dei cittadini, a patto che non scelgano la violenza", lo rimette al centro di un gioco che sarà difficilissimo con l’ala dura del regime. Rouhani e Khamenei hanno visto chiaramente che il popolo è profondamente insoddisfatto. Ma non solo del governo, del presidente, della sua scarsa capacità di migliorare l’economia: la protesta è spesso contro il regime. Contro lo stesso assetto nato dalla "rivoluzione islamica".
 
Una partita delicata, in cui Khamenei probabilmente sarà costretto a fermare la mano di chi intende destabilizzare il presidente Rouhani. Il tutto all’interno di un gioco di palazzo che i dirigenti iraniani capiscono perfettamente essere diventato molto delicato.

LASTAMPA.IT

Da giorni in l’Iran gli oppositori del regime scendono in piazza per protestare contro le politiche governative e il rincaro dei prezzi. Spesso le manifestazioni sfociano in scontri con le guardie di sicurezza. Solo nella giornata di domenica 31 dicembre ci sono state almeno dieci vittime. Ma le immagini che arrivano dalle città sono poche, così come le informazioni su quanto stia accadendo. In Rete però è possibile trovare numerosi documenti pubblicati da testimoni che aiutano a capire la situazione.  

 

The unseen #Video of the #uprising of the #Sanandaj people, where thousands are screaming at once, the death of the dictator. Neither #Syria nor #Lebanon, my life is sacrificed to #Iran. #تظاهرات_سراسرى #انتفاضه_الشعب_الإيراني #FreeIran #RegimeChange #Iranprotest #protest pic.twitter.com/5XTQnAfzke

— mostafa.mohamadi (@MostafaMe4) 1 gennaio 2018

 

This woman in #Iran took off her #Hijab to protest the mandatory Islamic dress code imposed on Iranian women. #IStandWithHer #IranProtests #Islam RT TO SPREAD HOPE pic.twitter.com/Pqh422OgpS

— Politics Condensed (@PCondensed) 1 gennaio 2018

 

From friends on @telegram

Burning of the Supreme leader’s banner#IranUprising #Iran protest #Tehran #FreeIran @Trumperland pic.twitter.com/uNrN8cNDQ7

bongiorni sul sole 24 ore

«Negli eventi della scorsa notte, purtroppo, un totale di dieci persone sono rimaste uccise, in numerose città». Con un laconico annuncio la televisione di Stato iraniana ha commentato l’aggravarsi degli scontri tra manifestanti e forze di polizia in Iran in quelle che sono le manifestazioni più accese e diffuse dal 2009, quando gli iraniani scesero in massa nelle strade per protestare contro l’elezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Il bilancio degli scontri è così salito a 12 morti e numerosi feriti.

Scoppiate giovedì scorso nella città di Mashad come proteste contro il caro vita e la corruzione, le manifestazioni si sono diffuse a macchia d’olio in molte città e hanno subito assunto una connotazione politica contro il Governo, il presidente Hassan Rouhani e perfino la potente guida spirituale della Repubblica islamica: l’ayatollah ultraconservatore Ali Khameni.

Ancora proteste in Iran

Rouhani invita alla calma
Al contrario di Ahmadinejad, che aveva subito reagito con il pugno di ferro contro le proteste popolari del 2009, il presidente Rouhani, conosciuto come un clerico moderato e rifomatore, ha riconosciuto in televisione il diritto a manifestare evitando però la violenza. «Il popolo iraniano è libero di manifestare», basta che le proteste «siano autorizzate e legali» e che non si trasformino in violenza. «Una cosa è la critica - ha sottolineato - un’altra la violenza e la distruzione della proprietà pubblica». Rouhani ha tuttavia ammesso che il popolo non è solo preoccupato per motivi economici, ma anche «per la corruzione e la trasparenza».

Incontrando, però, un gruppo di parlamentari il presidente ha però fatto un’appello all’unità tra «governo, parlamento, giustizia e esercito» per tutelare gli «interessi nazionali» contro un «piccolo gruppo che grida slogan illegali, insulta la religione e i valori della rivoluzione islamica». «Ora - ha detto - dobbiamo concentrarci sull’importanza del sistema, della rivoluzione, degli interessi nazionali, della sicurezza e della stabilità della regione».

La risposta delle forze di sicurezza sta divenendo sempre più dura. Oltre 300 persone sono state arrestate in diverse città. Duecento nella capitale Teheran, dove la polizia sta usando lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere i manifestanti, e un centinaio ad Arak , dove il governatore della provincia centrale, Ali Aghazadeh, ha reso noto che 12 agenti di polizia sono rimasti feriti negli attacchi all’ufficio del governatorato della stessa città.

Trump attacca di nuovo il regime
L’imperativo per il regime iraniano è ora contenere le proteste e fare in modo che non si allarghino a un punto tale da non poter esser più controllate.
Proprio per evitare i raduni di strada, le autorità hanno bloccato, anche se «solo temporaneamente», l’accesso ai social network, in particolare Telegram e Instagram.
Dopo la dura condanna di sabato, il presidente americano Donald Trump si è rifatto sentire via Twitter. «L’Iran, il maggior sponsor mondiale del terrorismo che ogni ora commette numerose violazioni dei diritti umani, ha adesso chiuso Internet in modo che i pacifici dimostranti non possono comunicare. Non è una cosa buona!».

Iran, the Number One State of Sponsored Terror with numerous violations of Human Rights occurring on an hourly basi… https://twitter.com/i/web/status/947588796031340546

– Potus Archive(POTUSPreserved)

Immediata la replica di Rouhani: «Quest’uomo in America vuole oggi manifestare simpatia verso il nostro popolo ma ha dimenticato che pochi mesi fa chiamava l’intera nazione iraniana una nazione di terroristi, la nazione del terrore».

31 dicembre 2017 Iran, mano dura contro i manifestanti

Il regime continua tuttavia a precisare che le forze di polizia non stanno utilizzando armi da fuoco. L’agenzia Mehr scrive che la protesta di Doroud (due vittime sabato notte) - una città circa 325 chilometri a sudovest di Teheran - non era stata autorizzata. «Il raduno doveva finire in modo pacifico - ha commentato il vice capo della sicurezza del governatore della provincia, Habibollah Khojastepour - ma sfortunatamente questo non è successo a causa della presenza di agitatori. Nessuno sparo è stato esploso dalla polizia locale e dalle forze di sicurezza.

L’Analisi Nell’Iran del boom mancato tornano le proteste di piazza

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Rouhani, il riformatore mancato
Agli occhi di molti iraniani l’uomo della speranza che aveva posto il rilancio dell’economia al centro del suo programma elettorale, dichiarando anche guerra alla corruzione, si è rapidamente trasformato nel riformista mancato.
Alle elezioni presidenziali dello scorso maggio, la popolazione lo aveva riconfermato a grande maggioranza. Per quanto fosse un clerico, per molti elettori era la sola, accettabile alternativa rispetto a candidati ben più conservatori sostenuti dalla leadership degli ayatollah.
Sono trascorsi soltanto sette mesi e la speranza ha ceduto il posto alla delusione. La protesta, da sociale, ha presto virato verso la politica e con slogan durissimi.

Economia: un boom senza benessere
L’accordo sul dossier nucleare iraniano, siglato nell’estate del 2015 sotto la supervisione dell’allora presidente americano Barack Obama, aveva poi portato, all’inizio del 2016,alla rimozione delle sanzioni internazionali contro l’Iran, incluso anche l’embargo petrolifero europeo scattato il 1° di luglio del 2012. L’economia era così uscita da una profonda recessione durata almeno due anni, ed aveva cominciato a correre. Merito, soprattutto, della sorprendente ripresa del settore petrolifero.
Le esportazioni di greggio, che nei periodi più bui erano scese sotto i 700mila barili al giorno (con una media di circa un milione di barili,) sono balzate a due milioni di barili al giorno in soli dodici mesi e ora si aggirano sui 2,3 milioni. La produzione petrolifera è più che raddoppiata arrivando agli attuali 3,8 milioni di barili.
L’economia ne ha inevitabilmente risentito, in positivo. Nel primo semestre del corrente anno fiscale (2017-2018) il Pil cresciuto del 5,6% per cento. Il settore dei servizi ha registrato un incremento del 7, 2 per cento. Il Fondo monetario internazionale, in un recente rapporto, ha stimato per il 2018 e 2019 una crescita rispettivamente del 4 e del 4.3 per cento.

Ci sarebbe di che rallegrarsi, ma in verità si è trattato di un boom senza benessere. In questo Paese che mira a divenire la potenza regionale del Golfo, la classe media si è assottigliata, la disoccupazione resta molto alta: quella ufficiale è al 12%, ma quella reale è molto più alta. E a pagarne il costo sono le classi meno abbienti e i giovani (il cui tasso di disoccupazione sfiora il 30 per cento).
La corruzione, endemica in Iran, ha poi frenato la distribuzione della ricchezza.
Non esiste forse situazione peggiore di quella di un Paese con una forte crescita economica, potenzialmente ricco, dove la forza lavoro (700mila iraniani si affacciano ogni anno sul mercato del lavoro) rimane in buona parte ai margini. Per i giovani laureati è una situazione inaccettabile. E la frustrazione ha subito ceduto il posto alla rabbia.